Pedro Cabrita Reis (Lisbona, 1956) ha un avvitatore in mano quando dice: “
La mia arte non ha nulla a che vedere con l’architettura”. Si china e spinge a fondo una vite nel legno da edilizia che ha usato per gli 85 elementi che creano
True gardens #6 (Torino), la grande installazione con cui l’artista portoghese torna a Torino per occupare quasi completamente il pavimento dello spazio della Fondazione Merz.
Vengono in mente alcune sue gigantesche installazioni, come quelle al Convento di Beja nel 1990, al Centro Culturale di Belém a Lisbona, a Obidos e al Serralves di Porto nel ’93, e la serie delle
Blind Cities cominciata nel 1998 e delle
Cathedral. Come scordare poi
Absent Names, con cui ha rappresentato il Portogallo alla Biennale di Venezia del 2003, e quei
True Gardens di cui a Torino è visibile il sesto intervento, il primo in Italia. Tutte opere che sembrano contraddire la sua battuta d’apertura.
Dopo aver stretto la vite si rialza dall’orizzonte di moduli in legno e luci al neon e continua: “
L’architettura è una gestione politica dello spazio, ma soprattutto una gestione visuale e fisica di un vuoto. I ‘giardini’ che presento alla Fondazione Merz sono un esempio di come l’uomo senta il desiderio di ordinare la natura secondo la propria volontà”. Bataille, con il suo “
l’architettura soffoca la società”, sembra echeggiare nelle parole di Cabrita Reis.La natura e la volontà umana di ingabbiarla sono un tema attualissimo nella Torino semialluvionata di questi giorni. Si creano argini per dare al fiume un percorso sicuro, ma basta qualche giorno di pioggia per ricordare all’uomo che la superbia è un peccato.
Nella “casa” di
Mario Merz, dove la natura esprime le sue forme e forze nella crescita esponenziale della serie di Fibonacci, negli igloo di pietra e vetro, negli animali primitivi che ricordano l’evoluzione, nelle esplosioni di luci al neon, il giardino di Cabrita Reis si cala con un intervento massiccio ma non opprimente. Complici nella leggerezza dell’installazione sono le centinaia di luci al neon e i due grandi interventi cromatici che l’artista ha voluto apposta per “
allargare lo spazio e mettere in comunicazione True Gardens con l’Igloo di Mario Merz”.
Gli 85 elementi, tutti diversi fra loro, che formano la grande installazione sono composti dal legno usato in edilizia per contenere le colate di cemento. Al loro interno corrono cavi elettrici scoperti che alimentano i tubi al neon fissati alla struttura principale. Sono elementi, citando Lévi-Strauss, più da bricoleur che da ingegnere, composti da materiali che, nella realtà, alla fine del lavoro di costruzione scompaiono o sono nascosti. “
Ho scelto di usare materiali estranei all’arte perché credo”, spiega ancora Cabrita Reis, “
che la distanza tra vita reale e arte debba essere annullata. Nelle mie opere mi riferisco all’atto primordiale della costruzione, quando la casa era un parallelepipedo disegnato con un dito sulla sabbia”.
Rimane un’ultima domanda: qual è la verità che affianca i giardini del titolo? “
Quella che dovrebbe rappresentare la ricerca fondamentale di ogni artista. L’intelligenza dell’arte non nasce dall’enunciazione di qualcosa di ignoto, ma dall’intuizione della verità. Un’altra verità è che l’arte è inutile”. Ride e se ne va.
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Il maestro Cabrita Reis è stato ospite di INTRAMOENIA EXTRA ART a Castel del Monte , in Puglia, nel 2005 con un equilibrato intervento site specific. Ecco l'articolo:
http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=15013&IDCategoria=46