Nel presentare la mostra al Castello di Rivoli, il direttore della Galleria d’Arte Moderna, Pier Giovanni Castagnoli, ribadisce quanto i rapporti fra i due grandi musei siano sempre stati di collaborazione e confronto: un’amicizia alimentata nel tempo, che ha permesso di fare sistema e rendersi in parte autonomi attraverso una raccolta di opere sempre più interessante.
La selezione di fotografie esposte non è supportata da alcun intento critico che esuli dal mero desiderio di presentare le acquisizioni avvenute negli ultimi mesi del 2007 dalla Fondazione CRT e rendere una concreta testimonianza del fondamentale lavoro svolto da otto importanti autori a partire dagli anni ‘50.
La mostra, nonostante questa premessa, sembra svilupparsi intorno a un filo narrativo logico e consequenziale, proponendo dei vari artisti una lettura estremamente significativa, che si snoda attraverso due grandi temi: da un lato, lo studio del paesaggio e del contesto sociale; dall’altro, il ritratto d’artista nelle sue molteplici varianti. Quindi, la scoperta del passato, attraverso l’istante rubato al reale e reso eterno, inizia con i maggiori rappresentanti dei due filoni,
Mario Giacomelli e Ugo Mulas.
Giacomelli è considerato il padre della moderna fotografia italiana. In realtà, racchiude nei suoi scatti una tale grandezza per umanità e genio creativo da non poter essere imitato. Disse che “
nessuna immagine può essere la realtà perché essa ti capita una volta sola davanti agli occhi”. L’inquadratura viene tagliata e rimane l’ombra del suo sentimento, il curvarsi sulla terra e sulla miseria, il suo raccogliere l’ultimo sguardo, con autentica compassione, e al tempo stesso con la vitalità del contrasto che ha reso la dignità della vita ai vecchi e la gioia della scoperta ai fanciulli, ai pretini danzanti. E con il passare degli anni il suo sentimento è divenuto sempre più universale, sempre più interprete dell’immensità, della condizione umana, della verità nascosta.
Con
Ugo Mulas invece entriamo al Bar Giamaica di via Brera insieme a
Piero Manzoni, negli stessi anni in cui
Max Ernst attraversa la laguna di Venezia -siamo nel 1954- e una decina d’anni dopo appare l’immagine di un serio e compassato
Marcel Duchamp, che ci viene incontro senza esitazioni in una foto nitida, dai contorni netti.
Mulas muore nel 1973, quando a Roma
Claudio Abate aveva già documentato molte delle esperienze culturali di quegli anni, attraverso le opere di
Marisa Merz,
Kounellis,
Gino de Dominicis e molti altri che troveranno spazio nelle sue numerose mostre nazionali e internazionali.
A Rivoli anche numerosi lavori di
Aurelio Amendola, che ritrae
Burri mentre brucia i suoi teli di plastica ed
Emilio Vedova in una incredibile simbiosi con i colori a olio della sua tela.
Sandro Becchetti presenta alcuni personalissimi ritratti del mondo dello spettacolo, da Resnais a Hitchcock.
Il premiatissimo
Gianni Berengo Gardin si distingue con lavori che denotano la consueta eleganza e arguzia: in mostra la celebre foto del vaporetto a Venezia degli anni ‘60 e la Berlino degli anni ‘80. Dal neorealismo approdiamo alla svolta concettuale di
Luigi Ghirri che, attraverso lo studio del paesaggio in tinte sbiadite e la non essenzialità del soggetto, crea un punto di arrivo che ha condizionato il pensiero di una generazione.
Con il più giovane
Francesco Jodice, infine, laureato in architettura, si passa all’analisi delle grandi metropoli, fra tecnologia e studio dei comportamenti urbani, in immagini di notevole livello e impatto visivo.
Visualizza commenti
Con Castagnoli i rapporti tra la GAM e Rivoli più che di collaborazione sono stati di servilismo totale