Nel comunicato stampa si legge che
i “
grandi spazi delle OGR si ‘riempiranno’ di pittura, grazie alle opere di
Ramella”. E, conoscendo
la vastità del luogo e l’infinita altezza dei soffitti delle ex Officine Grandi
Riparazioni, da cattedrale industriale del XIX secolo, ci si aspetta un
allestimento imponente. Fatto di monumentali tele, magari agganciate a un
complesso sistema di ancoraggio, sulla falsariga della neonata Fondazione Vedova
a Venezia, dove pare che le opere letteralmente volino.
Forse l’immaginazione a volte
corre troppo, producendo aspettative troppo alte, che puntualmente vengono
disattese. E forse quel virgolettato nel testo di presentazione voleva mettere
in guardia il potenziale visitatore da ogni facile entusiasmo, per ricondurlo
prudentemente alla realtà.
Sta di fatto che solo una minima
parte dei circa 6mila mq di superficie calpestabile è utilizzata per ospitare
una quarantina di dipinti, molti del 2003 e del 2006, ma per lo più risalenti
al 2007 e oltre, del pittore
Giorgio Ramella (Torino, 1939), che ha
frequentato l’Accademia Albertina alla scuola di
Enrico Paulucci.
Tele di medio e piccolo formato
relegate, appena varcato l’ingresso, in un angolo all’estrema sinistra dell’edificio,
e appese a una serie di pannelli in compensato messi a zig zag, che rendono
poca giustizia alla bellezza e alla forza esplosiva dei loro colori. Per cui
viene naturale domandarsi: perché scegliere la grandiosità delle Ogr come
location, se poi dev’essere
sottoutilizzata, penalizzando e non valorizzando la qualità di un’esposizione?
Venendo alla mostra vera e propria,
colpisce lo sguardo, ancor prima del cromatismo accentuato, la prospettiva
fortemente schiacciata, incline all’affastellarsi di oggetti, figure umane,
animali disposti matissianamente
sullo stesso piano. Poi è il turno della materia, anche
questa risolta in varie soluzioni all’interno di uno stesso quadro, incisa,
sfregiata quando non brutalizzata, posta accanto a campiture di colore più
distese e rasserenanti.
Un tumulto di emozioni, un
microcosmo di passioni umane contrastanti e mai così chiare e così nette, come
sovente succede nell’intimo di un solo individuo, sintetizzate
contemporaneamente sulla superficie di una sola tela. Infine, il tema
unificante dell’esotismo-erotismo, il secondo vagamente accennato
dall’indugiare del pennello sulle forme femminili di fanciulle indiane, mentre
il primo evocato dal ricorrente uso dell’elefante, spesso dipinto sullo sfondo
di infuocate savane africane.
La mostra
A Oriente verso Sud racchiude le suggestioni delle
grandi tele di Ramella, i suoi viaggi che, come sottolinea la curatrice Lea
Mattarella, assomigliano più a “
miraggi”, dove “
l’altrove,
la sua Africa,
il suo Oriente da Mille e una notte sono proprio, come le storie
raccontate da Shehrazad al sultano, magnifiche invenzioni letterarie”.