Rob Pruitt (Washington, 1964; vive a New York) si fece notare
nei primi anni ’90 e lavorò anche con Leo Castelli, sempre con uno sguardo
attento alla Pop Art. Dopo una lunga pausa, ritornò nel 1998 con l’opera
101
Art Ideas You Can Do Yourself, ripresa in uno degli interventi
dell’artista per la mostra veneziana
Mapping the Studio. Parallelamente, quest’autunno presenta un progetto al
Guggenheim di New York e un altro – assai controverso – alla Tate Modern, a
sottolineare la confermata credibilità di un artista che riesce a vivere il
proprio tempo sottolineando l’ironia e le interazioni del sistema arte.
Alla Galleria Noero compone un
allestimento nello spazio
site specific di piazza Santa Giulia, che costituisce la prima parte di un articolato
progetto in tre fasi distinte.
Colpisce la forte fisicità delle
sculture della serie
Esprit des Corps sparse nella sala, costituite da jeans letteralmente
indossati da arti in cemento: composizioni di corpi mozzati in posizioni
impossibili, a combinare simmetrie inusuali e geometrie che spesso non si
possono ridurre alla classica anatomia,
ma che costantemente riproducono la
pienezza sensuale di glutei e muscoli riconoscibili sotto il tessuto inventato
da Levi Strauss.
Potente strumento di
omologazione e prodotto al centro di un giro d’affari colossale, il jeans non è
la prima volta che diventa protagonista del mondo dell’arte. Perfino il
celebratissimo
Damien Hirst si è
lasciato tentare dal fascino e dal potere commerciale del notissimo capo d’abbigliamento,
in un’operazione più
glamour e decisamente meno concettuale di
questa proposta da Pruitt.
Un simbolo del consumismo di
massa che è anche icona di un’epoca. Pruitt sa bene ricostruire la volgarità
sofisticata tipica degli anni ‘60 e della cultura pop, e ripropone le pose
stereotipate della pubblicità martellante ma le allontana da qualsiasi legame
con la realtà. Ripropone l’erotismo legato alla società dei consumi, ma lo
censura in una forma di macabro disagio, di anomalia, di impossibilità d’espressione.
Sono sculture non umane,
eppure sembrano pezzi di carne. Richiamano il baratro dell’assurdo e
contemporaneamente lo esorcizzano, sferzando con ironia il circuito della
composizione che si rianima nella materia utilizzata, nel colore della vernice
schizzata sulla tela alle pareti.
Nella medesima sala, Pruitt espone numerose foto scattate
con l’iPhone ad Atene: si tratta di dettagli ossessivi, glutei e genitali,
appartenenti a sculture classiche. La tecnologia che fornisce la possibilità
estemporanea di ricostruire una testimonianza, vincolata dal taglio
dell’inquadratura, obbliga lo spettatore a osservare non la totalità ma la
visione parziale della fisicità, la parte che crea più turbamento. Trasponendo
la sensazione collettiva in sentimento individuale.
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un po' di noia....questo rapporto imprevedibile col corpo ormai è prevedibilissimo