Per capire il
significato di
In-difesa, la collettiva curata dall’entità una e trina
(artista-curatore-direttore della Fondazione107) di
Federico Piccari, si potrebbero scomodare fior
fiori di scrittori, filosofi, sociologi, poeti, politici. Riempire le pagine di
citazioni di Sun Tzu, Giap, Churchill, Nietzsche, Chomsky, Brecht, Voltaire.
Ma sarebbe solo un
esercizio di vanagloria, e visto che in una mostra parlano le opere, partiamo
proprio da una di queste, una che potrebbe passare quasi inosservata, ma che
invece nasconde il significato di tutta l’esibizione: il lavoro di
Oksana
Shatalova.
L’artista kazaka fotografa gente di tutte le età in tenuta mimetica. Poi
affianca a queste immagini quelle di soldati veri e altre di sue creazioni,
bikini, tubini, camicette, sempre in tessuto mimetico.
La domanda che il lavoro
suscita non è da poco: come fa certa gente a indossare con nonchalance la
replica di una divisa che in ogni angolo del mondo ha portato, porta e porterà
morte?
Questa è l’idiozia
occidentale, di cui è esempio lampante Jean Paul Gaultier che, nel 2007,
presentò una collezione intera a tema mimetismo bellico. È la stupidità di chi
non ha capito nulla, o, peggio ancora, di capisce, ma resta indifferente.
In-difesa è una riflessione divisa in
cinque aree:
In-difesa della vita, del diritto, dell’identità, del culto, e, infine,
In-difesa militare, su cosa significhi la
parola guerra e come questo stato di tensione e violenza sia ovunque e non
lasci nessuno immune. “
La linea di confine fra attacco e difesa perde
certezza. Le responsabilità non sono più certe, non è più possibile
l’imputazione o l’assoluzione piena”, dice Piccari. Insomma, in questo mondo siamo tutti
colpevoli. Dietro ogni angolo c’è una trincea.
La mostra è un
fronte aperto in cui le opere parlano della difesa come paura e diffidenza nei
confronti del diverso, come
KKK,
l’opera di
Andres Serrano che ritrae un membro del Ku Klux Klan, o come
My
friend – My enemy di
Erbossyn Meldibekov, in cui due uomini sono l’uno di fronte all’altro con in bocca una
pistola, o ancora come nella Statua della Libertà degli
AES+F, velata da un burqa e con in mano
un Corano. Ma la difesa è anche quella armata delle opere del mozambicano
Gonçalo
Mabunda, con il
suo trono di armi, dell’indonesiano
Budi Kusarto, di
Federico Piccari, con i suoi feti ancora in utero
ma già armati.
In-difesa va poi letta senza trattino:
indifesa. Senza protezione come l’Africa, terra di conquiste e della
spartizione coloniale – vedi il lavoro di
Diamante Faraldo – poi frutto di indipendenze
troppo repentine che hanno lasciato il continente nel caos. Dilaniato da guerre
(vedi di nuovo Mabunda), decimato da carestie e piaghe come l’Aids o la Tbc,
sui cui riflettono i lavori di
Maurice Wanju e
Lemming Munyoro, afflitto da violazioni
quotidiane dei diritti umani, come denuncia nei suoi lavori
Almighty God.
C’è da stupirsi?
C’è da scandalizzarsi? C’è da aver paura? No di certo, basta aprire un giornale
a caso in un giorno qualsiasi (ad esempio l’8 aprile) e leggere i titoli: “
Ahmadinejad
minaccia Obama”,
“
Kirghizistan, assalto al parlamento”, “
Thailandia: è stato d’emergenza”, “
Brasile devastato dalle
alluvioni”. Ci
dovremmo essere abituati, no?
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le considerazioni di riba sono da "giornalista" immaturo, ma quanti anni ha?
si lascia andare spesso a commenti personali abbastanza superficiali
... la recensione mi sembra equilibrata e chiara, perfino troppo didascalica. ma dove sta scritto che la critica non possa esprimere giudizi? tra l'altro, appellarsi all'età mi sembra inspiegabilmente pregiudiziale: forse un ventenne appassionato e fresco di studi ha meno acume di un parruccone sovente prezzolato?