ChissĂ
se nella “terra dei laghi” conoscono Giacomo Leopardi. A guardare le foto di
Kalle
Kataila (Helsinki, 1978) quasi quasi si direbbe di sì. Visto che, abbattuta la
metaforica “
siepe”
a colpi di obiettivo, l’artista
naufraga in un infinito dalla fluttuante profonditĂ .
Con
una leggera vertigine si attraversa la seconda tappa del progetto itinerante di
Alessandro Marena, che stavolta ha scelto come location Palazzo Marenco,
storico edificio progettato nel 1876 da
Carlo Ceppi (a qualcuno probabilmente giĂ
noto per la facciata della stazione Porta Nuova), dagli interni ricchi di
stucchi e decori, impreziositi da pavimenti pregiati e porte settecentesche,
dove fa bella mostra di sé un imponente camino maiolicato.
Peccato
solo che le applique in stile non sempre valorizzino gli scatti del giovane
scandinavo, riconducibile a quella che viene convenzionalmente definita “Scuola
di Helsinki”, espressione indicante, più che un movimento programmaticamente
strutturato (tale è la varietà di declinazioni, afferenti soprattutto al mezzo
fotografico e al video), un medesimo humus formativo, ovvero l’Università di
Art and Design della capitale finnica.
Opere
in cui troppo forte è l’incanto del
sublime romantico per eludere
l’associazione automatica con la pittura di
Caspar David Friedrich.
Rafforzata da analogie formali
quali l’inquadratura di spalle, in posa solitaria e immobile: si trovi di
fronte a una distesa ghiacciata o a mastodontiche architetture, l’uomo –
incarnato dall’artista stesso – mantiene lo stesso atteggiamento e lo stesso
rapporto proporzionale, come se l’unica variante fosse ciò che lo circonda. Un
autore/protagonista latore di un messaggio cifrato che valica i confini
oggettivi di tempo e spazio e, senza intrecciare un reale dialogo con il contesto,
esprime la sottile discordanza tra essere
al mondo ed essere
nel mondo.
Nulla
trapela infatti dei suoi sentimenti e delle sue emozioni al cospetto di abissi,
precipizi e prospettive sconfinate, quasi i suoi schivi e standardizzati
autoritratti fossero un ritaglio intercambiabile, sovrapponibile alle fughe
mozzafiato e alle atmosfere rapinose
di questi
Paesaggi e contemplazioni. Uno iato rispetto alla radice
autobiografica di un lavoro svolto come un “diario” di apparizioni ben
costruite, che possono balenare ovunque, nel cortile di casa come alle piĂą
diverse latitudini: in Lapponia, con i suoi violenti cieli boreali; a Dubai,
miraggio avveniristico nell’arido deserto; in Brasile, dove Kataila rifà il
verso al Cristo del Corcovado, con quel pizzico d’ironia messo anche in
Shepherd, che lo ritrae davanti a un
gregge di… sdraio su una spiaggia africana.
Immagini
raramente sbilanciate sul piano del soggettivismo, ma bilanciatissime su quello
cromatico, che coglie appieno la ricchezza di bianchi e neri colmi di
sfumature, e su quello compositivo, fino alla sintesi che, incorniciando una
porzione di vuoto e silenzio, varca la soglia del Surrealismo.
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Molto bella la location e stupende le foto!