L’arte contemporanea torna alla Gam, con un ciclo che è la naturale prosecuzione di Avvistamenti. Alla mostra dei napoletani Vedovamazzei (Stella Scala, Napoli, 1964, e Simeone Crispino, Frattaminore, Napoli, 1962. Vivono a Milano) seguiranno le personali di Massimo Bartolini e Jessica Stockholder.
I partenopei, riunitisi nel 1991 sotto la luttuosa sigla, annunciano la propria ingombrante presenza con un Tir di 28 tonnellate parcheggiato in una viuzza adiacente la galleria. Basta gettare uno sguardo in alto e si nota una vegetazione che lì proprio non dovrebbe stare. Grazie a una ripida scala si può salire fino all’altezza di 4 metri, da dove osservare cosa contiene il rimorchio. Centinaia di metri cubi d’acqua che ricreano una paesaggio monettiano, con tanto di barca a remi. Ad ogni modo il portable landscape di Go Wherever You Want, Bring Whatever You Wish (2000-2004) non è una novità, era già stato presentato nel 2000.
All’interno della galleria, l’esposizione si apre con For Once in My Life (2004). Si cita un racconto in cui Carlo Vogt riporta la vicenda di una cicogna adultera che, insieme all’amante, uccide il proprio compagno. La scena è illustrata con pochi ed essenziali neon, come pennellate che si dispongono nello spazio, creando pure un poetico effetto di cerchi concentrici nell’acqua dello stagno, dove l’ignaro maschio va a caccia di ranocchi. Il ronzìo di un generatore introduce al lavoro successivo: tre pareti candide e uno specchio circolare. Ovviamente ci si guarda, ma la messa a fuoco è ostacolata, per cui ci si avvicina a tal punto che la propria immagine svanisce per altre ragioni di ottica.
Lo Short Sighted Mirror 2 (2002-2004, presentato a Roma, al Magazzino d’Arte Moderna) gira infatti rapidamente su sé stesso, frustrando ogni Narciso permaloso.
Nella sala seguente, tre tavoli in legno sono elevati da strutture in vetro, il cui titolo complessivo è Plank bed (2004). A causa dell’altezza non è facile osservare cos’è poggiato sul piano dei primi due tavoli, anche se il riflesso del vetro funge da proiezione fantasmatica. Uno reca i celebri Notebooks dei napoletani (un ciclo di ben 71 quaderni è stato presentato recentemente a Milano dalla fashion griffe Piazza Sempione di cui Vedovamazzei ha curato la campagna autunnoinverno) e la Risma 500 (1993); su un altro si svolge un’improbabile competizione di nastri adesivi di varia fattura. Sul terzo tavolo giacciono brandelli di scottex avvoltolati in modo da suggerire esseri zoomorfi, impressione supportata da qualche lieve schizzo a pennarello.
Chiude la mostra una struttura dal titolo Bluish (2004). Il parallelepipedo, le cui lastre di vetro sono congiunte da una struttura in alluminio, accoglie un lampadario che penetra nella scultura attraverso un piccolo foro. Il ricordo va naturalmente ad alcuni lavori di Flavio Favelli, ma d’altra parte l’utilizzo del lampadario non è nuovo per i Vedovamazzei, a partire da due opere del 2000. In questo caso, le luci sono disposte in maniera tale da ricalcare la disposizione degli astri che formano la costellazione del Grande Carro, mentre il vetro crea un gioco di riflessi che si stempera solo dove è applicata un’anta in legno, ricordo di un armadio a muro dipinto chissà quanti decenni or sono.
Lo evidenzia Giacinto Di Petrantonio nel testo a catalogo (un prodotto editoriale di pregio): i temi dei Vedovamazzei sono costantemente legati alla morte e alla progettualità, che Heidegger ci ha insegnato essere inscindibili. Così, nella loro caleidoscopica produzione, che non si ritrae di fronte ad alcun medium espressivo, la cifra è riconoscibile dalla tematica e dall’approccio. Com’è avvenuto, per restare in Piemonte, nell’installazione permanente After Love (2003) a Caraglio, che ripropone la celebre casa di Buster Keaton. Instabilità amaramente ironica come controcanto dell’architettura razionalista, s-grammaticatura caotica della finitudine.
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