Dal
1928, anno in cui nacque dalla mano del disegnatore Otto Mesmer, il gatto Felix è allegro e
sorridente. Si direbbe che sia un ottimista nato, oppure che sia perennemente
sotto prozac, ma non per Alex Pinna (Imperia, 1967; vive a Milano). Lui, nei disegni in
mostra in Compilation, la sua terza personale presso la sede torinese della Galleria
Ermanno Tedeschi, lo tratteggia spaventato, arrabbiato, pensieroso.
I
lavori dell’artista ligure hanno sempre qualcosa di perturbante, che contagia
non solo l’allegria quasi secolare del celebre felino, ma anche quella dei
personaggi, lunghi e affusolati, che popolano le sue opere.
Quello
di Pinna è un universo in equilibrio precario, in cui gli esseri che ci vivono
sono in costante ricerca di stabilità e di un bilanciamento che è soprattutto
esistenziale.
l’identità degli abitanti, spesso inquilini solitari, che li popolano. Così
Felix si spaventa di fronte a una macchia di acquerello disegnata sulla stessa
carta in cui “vive”. Un horror vacui, quello tratteggiato sul suo muso, che sembra volerci dire
che il gatto potrebbe aver preso coscienza di essere lui stesso una macchia di
colore, e potrebbe aver paura di perdere i contorni per dissolversi in una
chiazza informe.
Allo
stesso modo, anche le esili figure delle sculture di Pinna rappresentano questa
inquietudine. In 10s2 alias 2010 una figura alta e dinoccolata si poggia sul bordo esterno
di una gabbia appesa al muro. In un’altra opera simile, la figura è seduta sul
bordo superiore con le gambe a penzoloni nel vuoto. Sono personaggi
intrappolati in uno spazio circoscritto, talmente angusto da costringerli a
equilibrismi da trapezista. Anche il materiale in cui sono realizzati ha
risvolti metaforici. L’anima in acciaio di questa installazioni è avvolta in
corda di canapa, che svolge così sia la sua funzione materiale di tenere
assieme gli elementi della scultura, sia quella simbolica di creare una ulteriore
gabbia, quella del corpo.
Le
opere in bronzo sono, invece,
cui poggiano è ristretto, limitato a un piedistallo o a una base, e il tema dell’equilibrio
è sempre presente. È una ricerca, quella della stabilità, che non cessa nemmeno
quando le smilze figure sono in compagnia, come in Due. Allora il gioco sembra quello di
sorreggersi o, al contrario, di tentare di farsi cadere a vicenda.
Ora
sarebbe troppo semplice chiudere paragonando le opere di Alex Pinna a quelle di
Alberto Giacometti.
Talmente facile e abusato è il paragone, che persino dalla galleria hanno
chiesto di non tirare in ballo questa analogia. Anche perché, dicono loro, “le
sculture di Pinna sono più allegre [di quelle di Giacometti, N.d.R.]”. Purtroppo dobbiamo
infrangere la promessa (fatta comunque con le dita incrociate dietro la
schiena), perché più che allegri i lavori dell’artista paiono ironici,
dell’ironia sofferente alla David Foster Wallace. Ecco la bellezza dell’arte:
ciascuno ci vede cosa vuole. Allegria, ironia o tragicità.
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