Non è un papiro egiziano coperto di geroglifici, né il solito papiro greco con interminabili colonne di testo. Il contenuto del papiro di Artemidoro è assolutamente unico: una parte di testo, una carta geografica, immagini di animali e disegni di parti del corpo umano (mani, teste e piedi). Per comprendere il perché di un contenuto così eterogeneo gli studiosi -tra i quali Claudio Gallazzi e Salvatore Settis, curatori della mostra- hanno cercato di ricostruire la storia del papiro (che entrerà nella collezione permanente del museo egizio di Torino). Una storia con tre vite che inizia in un centro di copia ad Alessandria d’Egitto nel I secolo a.C.
Qui, un anonimo copista ha l’incarico di copiare su un rotolo di papiro il testo della Geografia di Artemidoro di Efeso, il brano che ci è giunto è l’inizio del secondo libro. Il copista scrive il testo in colonne e lascia qua e là degli spazi bianchi perché al termine della copiatura un pittore possa inserire le mappe. Ma il disegnatore sbaglia dipingendo una carta geografica non coerente con il testo; la carta giusta sarebbe stata quella della penisola spagnola (è a questa che si riferisce il testo) invece la mappa che troviamo nel papiro rappresenta solo la Betica. L’errore ormai è fatto; il pittore non completa la mappa –che è priva di colori e di nomi– interrompe il lavoro e mette da parte il papiro.
In seguito qualcuno approfitta di quel lungo rotolo con il verso ancora completamente bianco e lo riempie con disegni di animali reali e immaginari ciascuno con il proprio nome. Una sorta di repertorio di bottega compilato probabilmente dal titolare –si riconosce una mano esperta– da utilizzare forse come campionario da mostrare ai clienti e come raccolta di modelli per gli apprendisti.
Il papiro sul recto ha ancora degli spazi vuoti, quelli lasciati dal copista per le carte geografiche. Anche quegli spazi vengono riempiti forse da allievi di una bottega che si esercitano nel disegno copiando calchi di statue, mani, piedi e teste.
Sono passati circa cento anni dal primo utilizzo. Il papiro è completamente riempito di segni ed è impiegato come “materiale da riciclo” per realizzare un involucro di mummia in cartonnage. La mummia è ritrovata alla fine del XIX secolo e negli anni Cinquanta del Novecento la maschera in cartonnage è acquistata da un collezionista tedesco che la fa smontare per recuperare i pezzi di papiro: circa duecento frammenti che compongono una ventina di documenti, uno dei quali è il papiro di Artemidoro.
Settis evidenzia almeno tre motivi per cui il papiro è assolutamente unico. Contiene la carta geografica più antica che si conosca, la prima all’interno di un testo; il bestiario sul verso sembra
L’esposizione si apre con l’affascinante papiro –che da solo merita la visita- chiuso all’interno di una teca di cristallo che consente di ammirarne recto e verso. Attorno alle sue tre vite ruotano tutte le sezioni della mostra: bassorilievi, statue, vasi greci, splendidi mosaici di Pompei intrecciano racconti diversi. Come si leggeva un rotolo di papiro, gli strumenti per scrivere e dipingere, la tecnica del cartonnage. L’Egitto di Cleopatra e la Spagna, rari esempi di illustrazione libraria e la cartografia antica; immagini di animali e i calchi di Baia, testimonianze della vita nelle botteghe artistiche nel mondo greco-romano. Suggestivo l’allestimento: sulle pareti di alcune sale sono riprodotte le immagini disegnate sul papiro che un raggio luminoso completa delle parti mancanti. Una mostra elegante che si inserisce nel ricco panorama delle Olimpiadi della Cultura.
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