“Il manicomio è una grande cassa di risonanza e il delirio diventa eco, l’anonimità misura” ha scritto Alda Merini ne La Terra Santa (edito da Scheiwiller). Il termine manicomio possiede un significato ruvido e lacerante. Richiama alla mente dolore, lacrime ed isolamento, miseria ed abbandono.
Sesto appuntamento con gli artisti emergenti promosso dalla Fondazione Italiana per la Fotografia di Torino, la personale di Loredana Moretti (1966, Bari) affronta un tema quanto mai doloroso: la follia intesa quale diversità ed estraniazione. Le ottanta fotografie presentate, infatti, sono state scattate nel 2001 presso l’ex Ospedale
Partendo dalle aree esterne all’edificio, tra piante secche e vecchie panchine di legno, l’autrice compie un’incursione nelle stanze-dormitorio, nei locali-doccia, nelle cucine, fino ad arrivare alla chiesa annessa al convento dei Frati Alcantarini, vicino alla quale è stato costruito l’ospedale. Gli ambienti sono disabitati ed il silenzio invita al raccoglimento. Niente più pazienti, né personale medico. Ma, nonostante questo, le loro tracce sono dappertutto. Sui muri, negli angoli, accanto ai letti spogliati e agli armadi vuoti, vicino ai ripiani contrassegnati con i nomi dei malati.
Queste immagini, dichiara l’autrice, sono dedicate “a tutti coloro che non ci sono
Da circa 10 anni Loredana Moretti affianca alla professione d’architetto quella di fotografa, rivolgendo particolare attenzione ai luoghi cittadini dove albergano disparità e discriminazione. Con la serie Lidi l’artista ha partecipato alla scorsa edizione della Biennale Internazionale di Fotografia Border Stories, nell’ambito della sezione Giovani Autori.
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sonia gallesio
mostra visitata il 17 maggio 2003
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