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fino al 9.I.2011 Exhibition, Exhibition Rivoli (to), Castello
torino
Se il protagonista non è più l'artista. Sdoppiamenti e riletture degli spazi. È la nuova fatica del giovane curatore Adam Carr. Per il nuovo, travagliato corso del Castello di Rivoli...
anglosassone Adam Carr, classe 1981, che dopo il contributo ad Artissima 2009 e
un’esposizione presso la galleria Norma Mangione, torna in città, questa volta
con una grande collettiva in spazi istituzionali.
Il tema scelto è quello del doppio, tema
affascinante e scivoloso, che prima di tutto si pone come strumento per
rileggere lo spazio espositivo. Niente trattati di psicologia sui nostri alter
ego, niente analisi sulla “doppiezza”, niente dibattiti intorno alla
riproduzione, ma semplice duplicazione: più che un modo complesso per indagare
le sensibilità, una lente speciale che sdoppia lo spazio espositivo, obbligando
a una rilettura delle opere e degli ambienti.
La manica lunga del Castello di Rivoli si presenta
infatti divisa in due sezioni (ulteriormente sdoppiate), in cui è come se la
mostra si vedesse in uno specchio, in cui le opere ritornano in un percorso
fatto di richiami e verosimiglianze.
A febbraio, la mostra presso la Galleria di
Norma Mangione mirava sempre a indagare il tema dello spazio espositivo,
presentando una serie di lavori scelti tra momenti diversi del contemporaneo e
che vertevano tutti sulla rilettura degli spazi espositivi. Qui, però, il
lavoro di Adam Carr si svincola quasi dalle opere: per molte di esse la doppia
esposizione non crea nuovi livelli di lettura, ma semplicemente sottolinea
l’intento curatoriale, che domina sulla pregnanza delle opere.
Questo slittamento del focus della mostra, dal
lavoro degli artisti alla massiccia presenza mentale del curatore, non è
estraneo a tanti ragionamenti odierni sull’arte: si pensi ad esempio al recente
volume della Phaidon Creamier, il cui valore è dato proprio dal presentare
nomi di curatori à la page e in cui l’artista perde centralità.
Da questi spunti occorre partire per spiegare
perché nella mostra trovano poco spazio sia i legami tra le opere che la
presentazione corale di diverse sensibilità; scompaiono infatti, adombrati
dalla narrazione curatoriale. L’esposizione risulta così (volutamente?) di
difficile lettura, diviene faticoso e talvolta impossibile trovare i fili e i
capi logici di quest’uniforme magma che spazia dall’Arte Povera a Jonathan
Monk.
Molte domande potrebbero sorgere attorno
all’esposizione. Ad esempio ci si potrebbe chiedere perché compaiano solo
artisti italiani ampiamente storicizzati (Lara Favaretto a parte) o perché i
jeans così omoerotici di Powerless Structures di Elmgreen &
Dragset
possano essere assimilati alle sculture ricostruite di Trauerspiel di Nina Beir. Ma saranno tutte
questioni fuori focus, che mal individuano il vero protagonista.
In questo mare di specchi, di rimandi e di
doppi vale comunque la pena focalizzarsi sui video di Dan Rees, sulla rilettura del Big
Splash
di David Hockney fatta da Monk, o sui lavori di Douglas Huebler. Segni e gusti del
mercato internazionale.
Carr
curatore da Norma Mangione
alberto
osenga
mostra visitata il 28 settembre 2010
dal 20 settembre 2010 al 9 gennaio 2011
Exibition
Exibithion
a cura di Adam Carr
Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea
Piazza Mafalda Di Savoia – 10098
Rivoli (TO)
Orario: da martedì a giovedì ore
10-17; da venerdì a domenica ore 10-21
Ingresso: intero € 6,50; ridotto €
4,50
Catalogo Skira
Info: tel. +39
0119565222; fax +39 0119565230; info@castellodirivoli.org; www.castellodirivoli.org
[exibart]
Bella recensione.
Ormai vediamo due tipi di curatori: quelli che operano come “ottimizzatori” (mi riferisco per esempio alla preziosa attività di M. Gioni alla Fondazione Trussardi) e coloro che agiscono con piglio dichiaratamente autoriale (questo Adam Carr, ma anche molti dei recenti giovani curatori in residence presso la Sandretto). Consiglio a tutti questo dibattito sollevato dal recente articolo di Anton Vidokle (“Art without artists”):
http://www.e-flux.com/journal/view/172
Il curatore viene visto come un PR o come un vero e proprio artista-autore, un regista che coordina gli artisti come fossero gli attori del suo film. Riflessioni che risalgono agli anni ’60, ma che oggi, per via di un linguaggio affaticato e saturo, trovano nuova attualità: gli artisti e le loro opere sembrano standard intercambiabili. Da una parte comanda il curatore e dall’altra parte gli artisti (all’interno di un certo ruolo tradizionale) non hanno più gli strumenti per reagire a questo stato di cose. Il ruolo di curatore-artista di Adam Carr è assolutamente interessante e legittimo, sono gli artisti che forse si dovrebbero porrsi qualche interrogativo.
Il rischio è quello di assistere ad un vuoto autoriale: il curatore non è quasi mai totalmente e consapevolmente artista e gli artisti sono ormai standard intercambiabili, sfumature che perdono di incisività. Per fare esempi: i Claire Fontaine sono perfetti artisti-attori: rielaborano il concettuale e hanno sfumature per qualsiasi film: possono proporre da monetine affilate fino ad occupare una parete intera con un NEON. Questa dinamica la vediamo anche alla recente Manifesta: gli artisti sono i curatori, mentre i loro invitati presentano tante declinazioni tante sfumature che altrettanti artisti “non invitati” avrebbero potuto tranquillamente proporre.
Anche nel recente Creamier (dove non ci sono italiani) questa dinamica è ormai evidente: gli artisti proposti propongono tanti standard intercambiabili, ma il taglio autoriale viene dato dai 10 curatori. Anche quì io percepisco un vuoto. Perchè da una parte ci sono buoni standard e dall’altra curatori “non del tutto artisti”. Poi devo dire che in Cremier ci sono alcuni artisti che, riuscendo a rinnovare il linguaggio, riescono a colmare questo vuoto. Ma sono veramente pochi.
la peggior mostra nella storia del castello di rivoli. non abbiamo più parole.
la mostra è valida, forse non incisiva.
Come non lo è il curatore.
L’arte deve tornare espressione e diretta manifestazione del sentire degli artisti, altrimenti sarà sempre più un insieme freddo e scomposto, anche nel caso in cui il progetto è stato a lungo studiato e meditato come in questo caso.
E’una mostra interessante e non priva di autentici tesori, debole nel complesso solo per un motivo, l’allestimento troppo rigido non raggiunge lo scopo di legittimare il tema, ma finisce con il banalizzare la visione d’insieme, troppo forzata.
ma non è vero, l’allestimento è il vero “gioco” da scoprire, acuto e divertente.
Tutto bello, tranne le valige di lara
Tra i 40 Artisti presenti, manca a mio avviso l’Artista Luca Vitone, non tanto “perché è Vitone” ma a prescindere che ne è stato lui l’ideatore, per la sua Opera:
L’invisibile informa il visibile, 1988
Carta geografica plastificata, lenza da pesca
[Laminated geographical map, fishing-line]
Potere la lingua, Centro Culturale Belvedere, San Leucio (CE)
Installation
che in questa mostra era sicuramente fondamentale visto il tema dell’esposizione.
Nella foto qui allegata l’Opera: L’invisibile informa il visibile, 1988