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fino al 9.II.2003 Dvora Weisz – Deserto/Midbar Torino, Museo dell’Automobile
torino
Sabbie policrome, gemme cristalline, calce, residui provenienti da miniere e crateri vulcanici. Ma anche juta, canapa, nastri ramati e legno. In una cinquantina di opere la suggestione millenaria del deserto e dei popoli che lo hanno abitato…
Il deserto non appartiene a nessuno, concettualmente è un’entità che non si può sopraffare: per questo è considerato metaforicamente patria dell’umanità intera e crocevia di tutte le culture. Grazie alla continua azione dei venti, è una realtà in perenne metamorfosi. Luogo di raccoglimento e compunzione per il cristianesimo, o di transito e distacco per l’islamismo, è stato da sempre meta di ricorrenti peregrinazioni. Scenario della proclamazione dei Dieci Comandamenti, rifugio di Re David ma anche di Giovanni Battista e di Gesù di Nazaret, fulcro degli eremitaggi di Santa Maria Egiziaca, ha consentito l’edificazione di maestose città quali Petra – costruita dai nabatei interamente nella roccia – e di famosi monasteri. Le opere di Dvora Weisz (Cipro, 1948) rievocano tutti i misteriosi deserti del pianeta, dal Thar indiano al Sahara africano, dal Gibson al Gobi dell’Asia centrale, ma in realtà vengono ispirate dal Negev, affascinante territorio nel quale l’artista vive e lavora. A sud dello stato di Israele ed altrimenti conosciuta come deserto della Giudea, questa è una regione caratterizzata da mille contraddizioni, a volte pacata e silente ed altre aspra e violenta. Un’area dall’aspetto incostante, nella quale steppe e pianure si alternano a montagne e a porzioni di terra rocciosa. Nell’arte di Dvora Weisz c’è il profumo del Mar Morto e della sabbia rovente, le danze turbinose dell’ hamsin, la canicolare corrente proveniente dall’Egitto, le spaccature del suolo negli alvei dei canyon. Il termine Midbar significa deserto e dunque siccità, lotta e solitudine, ma in svariate lingue semitiche è usato per indicare le zone adiacenti alle montagne di Gerusalemme, coltivate a grano o adibite al pascolo. Il titolo dell’esposizione, dunque, si rivela anche metafora di speranza e di affrancamento. In opere quali Goccia d’acqua, Pozzo e Scavo l’acqua viene rappresentata come una gemma preziosa e cristallina, simbolo di vita e purezza. Elemento essenziale, fuoriesce da pozze o sorgenti che sono patrimonio di tutti e che in arabo ed in ebraico vengono chiamate ‘ain (occhio). Proprio Be’er Sheva, città di Abramo e capitale del Negev, viene soprannominata pozzo del giuramento o luogo dei sette pozzi. Nella superficie ruvida e screpolata di Siccità, per contro, ritroviamo l’arsura della terra: [i] colori scrostati e sfaldati […] racchiudono la superficie erosa del terreno desertico quando l’acqua è assente da molto tempo; è come la pelle screpolata, è come la bocca arsa sotto il sole cocente, non è altro che l’immagine della carestia, per utilizzare una calzante espressione di Sarah Kaminski, curatrice della mostra. In svariate opere quali Il Messaggero e Tenda-Bastone-Drappo ritroviamo una sorta di bordone con un’estremità a spirale, emblema di saggezza e conoscenza, ma anche di continuità del flusso vitale e creativo. Tra i lavori più suggestivi si ricordano Voci, raffigurante due figure femminili che divengono icona del coraggio e della fede di milioni di donne, Adamo e Liberazione.
sonia gallesio
mostra visitata il 15 dicembre 2002
articoli correlati
Torino all’alba della Fiat. Torino, Museo dell’Automobile
links correlati
www.piemontearte.org
Deserto – Midbar. Opere di Dvora Weisz
Torino, Museo dell’Automobile Carlo Biscaretti di Ruffia, Corso Unità d’Italia, 40.
Tel +039 011 677666
Dal 5 dicembre 2002 al 9 febbraio 2003.
Orario di visita martedì, mercoledì, venerdì e sabato 10.00 – 18.30; giovedì 10.00 – 22.00; domenica 10.00 – 20.30; lunedì chiuso.
Ingresso intero € 5.50; ridotto € 4.00; scolaresche € 2.00. Visita al museo inclusa.
CatalogoElede Editrice Srl, Torino
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