La montagna incantata apre la cornice di appuntamenti con la cultura che affiancheranno i Giochi Olimpici di Torino 2006.
La mostra, curata da Ilaria Bonacossa, presenta trenta artisti impegnati in un confronto con il tema della montagna. In alcune opere il richiamo è esplicito, come nel caso del celebre scultore angloindiano Anish Kapoor, dove un gruppo di cime in fibra di vetro “svettano” al centro del grande spazio bianco abbagliante; altre volte può essere di tipo concettuale, come avviene per l’installazione di Thomas Hirshhorn in cui un coltellino svizzero, realizzato con carta stagnola, cartoncino e nastro da pacchi, con i suoi tentacoli propaga il potere di un Paese apparentemente neutrale come la Svizzera sul mercato internazionale con i più svariati prodotti in qualche modo d’élite: orologi, cioccolato, cosmesi.
C’è un senso di artificialità in questa montagna, c’è l’intervento dell’uomo sia come abitante poco attento e rispettoso del suo pianeta, come nelle due foto “cartoline” della Marmolada, con i turisti, protagonisti pacifici ma devastanti per il delicato equilibrio naturale delle vette, e l’incendio ripreso in video che pare alimentato dai ventilatori che fanno parte dell’installazione di Matthew McCaslin,Symptoms of the Unknown(1993), o la volpe artica imbalsamata di Roni Horn, proposta come un doppio, con visione frontale e da dietro. Ma anche la scultura di Rudolph Stingel che ha ottenuto, calpestando una lastra di polistirolo con stivali intrisi nella benzina, l’effetto di impronte di un passaggio sulla neve, allude a un immaginario più urbano e postmoderno piuttosto che incontaminato e puro. Il senso di irreale, lo scontro naturale-incontaminato è anche nel ribaltamento delle proporzioni: le vette di Kapoor più piccole del coltello svizzero grande come un mostro da film giapponese o le grandi gocce d’acqua di Hermann Pitz, più simili per dimensioni ai sassi di un torrente alpino.
Un altro modo per affrontare le svariate prospettive che la montagna apre è quello dell’intervento su di sé, lo spingere se stessi verso i propri limiti nella natura.
La provenienza internazionale degli artisti permette una varietà di sfumature nell’intendere il tema dominante che va a toccare anche una dimensione di fiaba. È il caso dell’armadio di Mat Collishaw, Enchanted Wardrobe(1994), con un grande specchio a rivestirne la porta, quasi un mobile da Alice nel paese delle meraviglie, dove, avvicinandosi, l’immagine riflessa di se stessi, grazie ad un dispositivo, scompare e si dissolve in una foresta verdissima. Lo specchio come acqua limpida è ancora protagonista nell’opera di Eva Marisaldi, dove il visitatore è invitato a sporgersi in avanti come su un abisso per ritrovare se stesso riflesso, perché, come recita la didascalia: “Certe cose di certe persone non le sapremo mai”.
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karin gavassa
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