Diversi motivi rendono imperdibile la mostra
A est di niente. Arte contemporanea dall’Asia centrale postsovietica. Innanzitutto si tratta della rassegna d’apertura di una nuova fondazione torinese, il cui obiettivo è un programma di esposizioni interdisciplinari incentrate sull’arte contemporanea. In secondo luogo, lo spettatore ha la possibilità di focalizzare la produzione artistica di Paesi che hanno fatto parte del blocco sovietico – Afghanistan, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Mongolia, Tajikistan, Uzbekistan – e che, faticosamente, hanno cercato la libertà e l’identità nazionale, senza rinunciare alla tradizione autoctona.
Si tratta dunque di un universo culturale complesso, fino a poco tempo addietro sconosciuto ai più, e dunque oltremodo stimolante. Confrontarsi con le espressioni artistiche di queste realtà significa verificare come e in quale misura l’arte contemporanea sia penetrata nel tessuto originario, quali incidenze abbia avuto, quali contaminazioni di linguaggi si siano originate dalla commistione di Oriente e Occidente, quale sia stato l’impatto della globalizzazione.
La rassegna, ben calibrata nell’ampia scelta dei lavori e nell’allestimento, offre valide indicazioni su queste problematiche. La fanno da padroni fotografia e video, due media che esprimono più degli altri l’ipertecnologia; la pur ristretta proposta di lavori pittorici e di installazioni-sculture è, in ogni modo, pregevole. Le aree più ampiamente rappresentate sono il Kazahkstan e il Kyrgyzstan.
Ci limitiamo ad alcune segnalazioni nel contesto d’una mostra che è opportuno esaminare con estrema attenzione. La
Mole Antonelliana, costruita da
Georgy Tryakin-Bukharov con materiali vari di recupero, è un ideale omaggio alla città di Torino, con la quale pare dialogare
Monument to a Hero di
Erbossyn Meldibekov, scultura il cui protagonista è il cavallo, simbolo di libertà e intelligenza.
Molto efficace la serie d’immagini fotografiche di
Ekaterina Nikonorova, che rappresenta verande di edifici con le più diverse connotazioni sociali. La
Red Flag di
Oksana Shatalova, realizzata con un tessuto a pallini, diventa più piccola a ogni inquadratura, come se fosse in procinto di scomparire.
L’
Atlant KG di
Talgat Karim Asyrankulov mostra un uomo che pare volare, reggendo la Terra capovolta, mentre la
Perestroika, nelle immagini in bianco e nero di
Shailoo Dzheksembaev, è un suolo frantumato sul quale le persone procedono guardando avanti, alla ricerca di nuove prospettive.
I guazzi di
Uuriintuya Dagvasambuu paiono trame immaginifiche che rammentano antichi arazzi;
Gennady Ratushenko si sofferma sul contrasto tra animale e oggetto tecnologico; le logore valigie di
Vyacheslav Akhunov, colme di vecchie fotografie, alludono alla memoria; infine, il video di
Rahraw Omarzad richiama alla mente la segregazione e il bisogno di affermare la libertà, a ogni costo.
Su tutto aleggia il divenire della storia, che trasforma ineluttabilmente lo scenario del mondo.