Per quanto visibili appaiano, l’ingresso e il percorso di
un dedalo sono sempre disorientanti, fisicamente e concettualmente. Prima
personale in Italia,
4: Cat-Cos è il titolo della mostra di
Josh Tonsfeldt (Independence, Missouri, 1979; vive
a New York). Allievo di
Gareth James, già presente in veste di curatore nella galleria
torinese, il giovane americano costruisce sentieri verticali e orizzontali da
percorrere con il corpo e con la mente.
11:Island/light occlude l’ingresso della galleria. Listelli di legno,
sorretti da sottili bastoncini raccolti nelle strade della città, ridisegnano –
a distanza di tempo e secondo la memoria dell’artista – il perimetro dello
spazio in cui sono inseriti.
È un intervento site specific che si presenta come
un’architettura precaria, dichiarando così la forte differenza tra la
percezione di un luogo e la sua rappresentazione, fra l’interpretazione e
l’oggettività.
Attraverso un video, una serie di fotografie e la raccolta
di materiali recuperati sempre
by walking, l’artista giustappone due tipi di archiviazione.
Da un lato l’enciclopedia del quotidiano come ordine alfabetico dei luoghi
percorsi, dall’altro l’accumulo di spazzatura inteso come tesoro mutevole di
rifiuti – tra cui ragnatele e matasse di polvere nella costruzione del lavoro
Untitled – da conservare come memoria viva
o come materia propria del fare.
Il lavoro di Tonsfeldt nasce
dunque dall’esperienza del quotidiano, dalla somma delle azioni che
dall’ordinario si trasformano in scoperta; dove, ad esempio in una semplice
passeggiata nelle vie torinesi, le immagini della catena di supermercati Dì-per-Dì
diventano un nuovo leitmotiv:
DaybyDay, per
parafrasare “
to live is to leave traces” di Walter
Benjamin.
Le opere esposte al piano
interrato – una serie di video e sottili interventi sull’architettura (lo
smembramento di alcune pareti in cartongesso a copertura delle finestre) – rientrano infine nell’ordine di
lavori di tipo interstiziale, che occupano cioè lo spazio minimo che separa due
corpi o due parti dello stesso. Come nel video in cui un giocattolo in plastica
rappresentante un nuotatore si muove nella porzione d’acqua residuale di un
corpo immerso in una vasca.
Presentando lavori che eludono le
limitazioni imposte dalle etichette di genere, sfidando dunque i parametri
della classificazione critica, Tonsfeldt pare però specchiarsi in
un’autoreferenzialità narcisistica. Che, chiusa in se stessa, tenta di superare
l’
art as idea of art.
Al limite
dell’
intelligibilità.
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E' stupefacente vedere come si riesca sempre di più a definire un pensiero unico, declinato di volta in volta con modalità formali e concettuali differenti. Si tratta ancora di smart relavism (relativismo colto) che trova due punti saldi nella ricerca del quotidiano e in interventi minimali. Cosa dire? Le soluzioni sono intelligenti. Come criticare questo giovane e la sua mostra? Peccato che il giovane discenda da un esercito di giovani artisti omologhi. Il dato centrale, in questi ultimi anni, è la nascita di questo esercito. (anche a causa di una positiva estensione dell'aflabetizzazione dell'arte contemporanea).
La riproposizione sistematica di queste urgenze provoca la definizione di un artigianato dell'arte contemporanea. Dopo un po' questa pratica provoca l'inefficacia di certe intuizioni.
Evidentemente però il mercato e la critica non riescono ancora a leggere la situazione. Il mercato perchè è ditratto e arriva sempre dopo. Una parte della critica rileva la situazione, una seconda parte (più vicina alla curatela) sembra non accorgersi di nulla. Questo esercito di artisti standard rappresentano una tavolozza di colori, mentre il critico-curatore appare sempre di più come artista-filosofo. Le mostre sono grandi installazioni che usano tante sfumature/colori. E quindi non c'è interesse a mortificare l'esercito dei giovani artisti, dal momento che questo esercito rappresenta una fonte di sfumature imprescindibile.
No parlerei di complotto, quanto di tendenza fisiologica, e spesso inconsapevole.
Personalmente ho amato molto l'intervento del piano terra, questa leggiadra struttura, che riprende in scala lo spazio sospesa sui ramoscielli mi è parsa una metafora molto ironica del fare arte oggi
L'ironia sembra una delle poche soluzioni...pochi giorni fa anche jerry slatz se lo chiedeva su facebook. Anche questa mi sembra una via comunque limitata, e soprattutto abusata.
Mi trovo in difficoltà, ammetto, nell'interpretare il
lungo commento di Luca Rossi.
Non capisco in realtà se si riferisca al sistema in generale o all'artista nello specifico; e in quest'ultimo caso, se sia un'apologia o il contrario.
Siccome mi pare una tesi articolata, non mi dispiacerebbe un chiarimento (anche a proposito del successivo cenno all'ironia).
Thanks