Mentre ai piani superiori si muovono gli esseri mutevoli di
Matthew Barney, nella sala interrata e nelle vasche esterne della Fondazione Merz arriva il “caos calmo” di
Per Barclay (Oslo, 1955).
Chambre d’huile presenta le opere che hanno dato all’artista norvegese fama internazionale. Sono le “stanze d’olio” la cui serie iniziò nel 1989 con l’ormai celebre
Dutch Interior e che prosegue ancora oggi.
I quindici lavori in mostra spaziano da due delle prime
Chambre, realizzate su commissione della rivista “Artforum” nel 1990 a Palazzo Barolo a Torino e in una vecchia rimessa di barche in Norvegia, a immagini scattate in mattatoi, chiese, banche, zoo, prigioni, fino ai tre inediti dedicati alla Fondazione Merz e realizzati nel 2004, durante la ristrutturazione dell’ex centrale termica della Lancia.
Il procedimento di realizzazione delle foto è sempre lo stesso: Barclay sceglie ambienti particolari e ne allaga il pavimento con liquidi come olio, vino, sangue, latte, vino, acqua; poi li fotografa.
Se la stanza di Gino Paoli, che non aveva pareti né soffitto, era un inno gioioso alla libertà della fantasia, le stanze senza pavimenti di Per Barclay creano effetti misteriosi e inquietanti. È la tensione creata da luoghi impenetrabili e invivibili, luoghi senza base né fondamenta, in cui gli ambienti si rispecchiano in abissi neri, rossi o bianchi, che inghiottono ogni dettaglio.
Dice l’artista: “
Il mio lavoro vuole rappresentare la tensione quotidiana, quella specie di ansia che ognuno di noi percepisce nel contrasto tra bellezza e comfort, tra le ‘grandi possibilità’ del nostro tempo e l’estrema precarietà della nostra vita. In questo mi sento scandinavo. Per me l’artista più importante è Munch, il pittore delle tensioni”.
La superficie liquida, immobile e specchiante toglie ogni funzione al luogo, che diventa un semplice accessorio, una scena a completa disposizione dell’artista. Come afferma la critica e curatrice norvegese Karin Hellandsjø, “
il risultato è una natura morta, una fotografia a colori che Barclay intende come una scultura”.
Le
Chambre d’huile di Barclay segnano poi un altro aspetto importante della sua poetica. L’impenetrabilità è valida tanto per lo spettatore quanto per l’artista: una volta che la stanza è stata allagata, ogni persona ne è esclusa. La visione che se ne ha dal vivo è la stessa che emerge dalla riproduzione fotografica: la tridimensionalità, anche del vero, lascia il passo alle due dimensioni di un luogo inaccessibile, osservabile solo dalla soglia. Nelle fotografie, l’unico elemento che rimane fuori dalla riproduzione è l’odore del liquido che ricopre il pavimento, sia esso quello sgradevole di olio bruciato o sangue, quello dolciastro del latte o quello inconfondibile del vino.
Chissà cosa avrebbe detto Pascoli, il cantore della casa-nido, delle
chambre di Per Barclay. Probabilmente si sarebbe messo a urlare, confermando quello che ne ha detto Achille Bonito Oliva: sono opere che vivono nell’attimo che precede
L’Urlo di
Munch.