L’identità politico-culturale del Cile, la storia e le vicende del suo popolo sotto la dittatura, sono elementi capitali per recepire il senso del Museo Allende e il valore della sua collezione. “
In una nuova concezione dei diritti dell’uomo dove si lavora innanzitutto per l’uomo”, sosteneva l’allora Presidente, nonché fondatore del Museo, Salvador Allende, “
vogliamo che la cultura non sia patrimonio di un’élite, ma che sia accessibile alla grande massa che finora ne è rimasta esclusa”. Se non si tiene conto dell’eccezionalità del contesto, si perde gran parte del senso dell’operazione attuata dalla Fondazione Merz. Una operazione generata, d’altra parte, da accordi di cooperazione economica promossi nel 2006 dalla Regione Piemonte verso la Regione di O’Higgins.
È importante sapere che le opere del Museo raccolte dal ‘71 al ‘73 sono donazioni di artisti nazionali e internazionali avvenute in Cile con il consenso del governo e, a partire dal ‘74, all’estero, dove nacque un vero e proprio Museo della Resistenza alla dittatura. “
Il paradosso, afferma Justo Pastor Mellado, curatore del Museo, “
sta nel fatto che la formazione di un museo, come gesto istituzionale, ha origine da un atto a favore della libertà d’informazione. Mentre in altri luoghi del pianeta alcune opere dell’avanguardia mettono in dubbio la legittimità dei musei…”.
Per questa ragione, lo
Zoran Music, il
Siqueiros o il
Gracia Barrios esposti in Fondazione acquistano un peso specifico maggiore, un doppio significato: il canto per la libertà d’espressione insito in alcune di queste opere funziona da specchio per la lotta cilena contro la violazione dei diritti umani. Quello “spazio dell’uomo” rivendicato nel titolo dell’evento. La forte partecipazione sociale, una sorta di coscienza civile collettiva, si riscontra anche nelle opere degli artisti contemporanei selezionati:
Claudia Aravena,
Mónica Bengoa,
Guillermo Cifuentes,
Andrea Goic,
Bernardo Oyarzún e
Sebastian Prece.
Lo si vede nei mezzi come nei contenuti. Mónica Bengoa rielabora uno scatto della libreria del suo spazio domestico trasformandolo in un grande murales. L’approccio intimo, a volte voyeuristico che permette la fotografia è mantenuto nel tema, ma è ironicamente trasformato nel mezzo: la foto diventa un enorme manifesto composto da 2.112 fazzoletti di carta dipinti a mano. Il risultato è una forma ibrida, elegante e popolare insieme, intellettuale e “democraticamente” decorativa: un modo per sollevare questioni attorno all’appropriazione delle nuove tecnologie e al valore della manualità.
Attorno al senso dell’immagine e alla sua pregnanza nell’arte e nella nostra quotidianità lavora anche Andrea Goic, che mostra una scena del film
Madame Bovary di Minelli mentre si ricopre con un cumulo di terra. Alla fine dei tre minuti di video, solo una voce che chiama disperatamente “
Emma? Emma?” lascia intendere che il corpo e la sua esperienza stiano subendo il processo inverso, soffocati da cumuli d’immagini.
Infine, le sessanta lampade rotanti di Guillermo Cifuentes immergono in uno spazio mosso da ombre e luci, parole proiettate e rumori meccanici. Ancora frammenti che narrano vicende di esseri umani privati dei loro diritti esistenziali. Segni di un passato recente che desidera redimersi attraverso l’arte e il dialogo.