Decentralizzare un obiettivo primario a favore delle
risorse sul territorio, alla ricerca di un plusvalore ottenuto sommando
l’esternalità del paesaggio alla qualità dell’offerta espositiva; insomma,
acquisire l’immagine perfetta per favorire l’incremento dei flussi turistici e
culturali e ottimizzare le potenzialità di una struttura che è un bene
pubblico. A Verbania il progetto del Craa parte con un tema non facile, sia per
ampiezza del campo di ricerca, sia per il rischio di scadere nel banale: il
fiore nella storia dell’arte, indagato ad ampio raggio lungo il corso di cinque
secoli.
Sette le sezioni sviluppate, dalle mitologie alle
mutazioni genetiche, dagli erbari alle geometrie e decorazioni pop. Un
escamotage atto a favorire un accorpamento
sulla base di un’analisi diacronica che, nella stessa sala, consente
accostamenti arditi e alquanto stucchevoli: si possono quindi osservare celebri
autori del XVII secolo confrontarsi con giovani artisti assolutamente
contemporanei.
Tutte le aree di quest’incredibile edificio sono state
utilizzate, a volte con eccessiva voracità, tale è l’incredibile e multiforme
quantità di opere selezionate. Dagli spazi di collegamento – in cui è possibile
scoprire
Andy Warhol fotografato da
Ugo Mulas, o i raffinati scatti di
Tomas Saraceno, oppure l’orchidea di
Emmanuelle
Dupont tra altre
opere di difficile collocazione – al parco antistante la villa, con
l’installazione di
Luisa Valentini.
Si ha l’impressione che si sia cercato di rispettare la
forte identità dell’edificio, e che ciò abbia in parte condizionato le scelte
dell’allestimento, che mantiene, senza pause, continue sorprese fino all’ultimo
piano, caratterizzato dalla spettacolare terrazza sul lago. Di cui godere dopo
aver visionato
Kishin Shinoyama,
Kim Joon o l’interessante
Gregory Crewdson con una foto del ‘62.
Si procede verso l’astrazione con le ninfee rivisitate da
Stefano
Arienti, per
procedere con
Thierry Feuz e i suoi brillanti colori, e approdare al bassorilievo
del gruppo
Gelitin, passando per
Nicola De Maria e
Laura Viale,
con la sua mistica evanescenza.
Non manca un excursus tra i fiori
e gli abiti di sartorie piemontesi e parigine, e neppure uno sguardo ad antichi
monili e cofanetti indiani sapientemente decorati.
Si preferisce a questo punto tornare indietro al principio
della mostra, cioè a
Flower Power, la foto del 1967 di
Bernie Boston,
scatto diventato icona del
movimento pacifista in America. Il fotografo immortalò un ragazzo infilare dei
fiori nella canna dei fucili di soldati schierati e minacciosi, e questo
divenne un simbolo di forza, a indicare quanto sia grande il potere di un gesto
e la capacità dell’artista di saperlo vedere.
Lo stesso gesto forte e deciso di un
Pistoletto che sfida, con una rosa
sguainata, il fotografo
Mussat Sartor. Una rosa
che, nel salone principale, diventa enorme e si staglia
diafana in un bianco e nero nebbioso e sfumato.