Forse a molti il nome di Giovanni Caracca (Haarlem, ? – Torino, 1607), versione italianizzata di Jan Kraeck, richiamerà alla mente poco o nulla. Eppure si tratta di un pittore molto interessante, che la mostra di Torino invita a riscoprire, analizzando i vari aspetti della sua produzione. Un’ottima occasione anche per tornare alla Galleria Sabauda, importante pinacoteca spesso sconosciuta agli stessi torinesi.
Caracca è noto soprattutto per la sua attività presso la corte sabauda (tra il 1568 e il 1607) dove il duca Emanuele Filiberto accoglieva letterati e artisti di svariata provenienza, nel tentativo di fornire a Torino un’immagine culturale adeguata al suo nuovo rango di capitale dello stato. In verità, all’inizio lavorò in prevalenza nell’antica sede del potere sabaudo, Chambéry, dove si conservano i pochi dipinti firmati dal “Carrachyo”, tre ritratti e una Sacra Famiglia coi SS. Elisabetta e Giovannino (1578-79). Quest’ultima, purtroppo non in mostra, evidenzia l’evoluzione stilistica del pittore rispetto al suo linguaggio di partenza, rivelato dalla deliziosa Sacra Famiglia ora alla Sabauda, legata ancora appieno alla cultura fiamminga della prima metà del ‘500 e curioso esito dell’unione fra echi raffaelleschi e minuziosità e deformazioni tipicamente nordiche. Caracca si era infatti nel frattempo confrontato coi manieristi francesi e con quelli italiani attivi a Torino: il faentino Alessandro Ardente e i piemontesi Giorgio Soleri e Giacomo Rossignolo, i cui dipinti in mostra offrono uno spaccato della pittura religiosa a Torino attorno agli anni Settanta del XVI secolo, quando Caracca dovette realizzare un’altra opera singolare, l’Apparizione della Vergine a tre armati in preghiera, una sorta di monumentale ex-voto.
Ma Caracca è celebre sopratutto per i ritratti, che lo rivelano attento indagatore di preziosità materiche e di rigorose convenzioni aristocratiche, secondo la linea dello status portrait. Gli esemplari più antichi, il cosiddetto Senatore Milliet (1577) e il Carlo Emanuele I di Savoia a 18 anni (1580, forse il suo capolavoro), sono qui messi a confronto con la tradizione francese (rappresentata da un ritratto di Margherita di Valois di François Clouet e da un intrigante e anonima Dama) e con la cultura della corte spagnola, incarnata da uno splendido ritratto della cremonese Sofonisba Anguissola raffigurante Isabella Clara Eugenia, sorella dell’infanta di Spagna Caterina Micaela (che sposò nel 1585 Carlo Emanuele I). Da quel momento il gusto della committenza sabauda si allineò sui modelli del manierismo internazionale e Caracca guardò soprattutto al ritrattista della corte spagnola Alonso Sanchez Coello, come indicano le numerose effigi della coppia ducale e della loro prole, fra cui spicca la giovane Margherita (1595), ritornata a Torino da pochi mesi grazie all’acquisto all’asta londinese dei beni di Maria Beatrice di Savoia. Completano l’esposizione alcune sculture, incisioni, disegni e altri oggetti preziosi e rari (come il ritrattino su rame di Carlo Emanuele I proveniente dal Bargello) che forniscono una panoramica complessiva della cultura sabauda a cavallo tra ‘500 e ‘600.
stefano manavella
mostra visitata il 18 novembre 2005
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