Si può identificare un’unità culturale all’interno di un insieme eterogeneo di Stati? Esiste una linea guida che consenta di individuare un comun denominatore in un groviglio di situazioni politicamente e socialmente instabili? Questi interrogativi si pongono allo spettatore che si avvicina alla mostra Sub-contingente. Il subcontinente indiano nell’arte contemporanea.
Il titolo gioca su un termine che definisce una problematica ad ampio spettro: il contingente evoca l’idea di un insieme, di un’organizzazione, che, in questo caso, fa riferimento ad una complessità, quella del subcontinente indiano dove ogni dettaglio si offre ad un momento di confronto. Le differenze, talora perfino stridenti e conflittuali, propongono un raffronto dialettico volto a evidenziare molteplici sfaccettature. La rassegna presenta dunque una fluidità di proposte, non una problematica univoca, quanto piuttosto un ventaglio tematico, che sottolinea le relazioni tra le spinte culturali autoctone e le influenze internazionali. Gli artisti in mostra -alcuni dei quali vivono a Londra, negli Stati Uniti, ad Amsterdam- si esprimono attraverso una pluralità di linguaggi, utilizzando spesso l’ibridazione come metodica di ricerca.
Qualche esempio può chiarire l’ampiezza della proposta. Sarnath Banerjee si serve del fumetto come espediente narrativo per esaminare in modo ironico la vita nelle metropoli indiane, portandone allo scoperto la confusione estraniante. Le valige di Huma Mulji pongono interrogativi sul viaggio come possibilità di scoperta del sé e di apertura ad altre realtà. Enrico David, in Room for Improvement utilizza una tecnica artigianale (fili colorati su tela di lino) per raffigurare una icona del mondo indiano, il maestro yogi Iyengas.
Il collage e l’assemblaggio servono a Chitra Ganesh per realizzare un grande lavoro su parete, esaminando il rapporto della contemporaneità con la tradizione e il potere. Una tematica affine caratterizza Blame, l’installazione di Shilpa Gupta, una camera piena di scaffalature su cui sono allineate boccette piene di un liquido rosso, assimilabile al sangue. Ashim Purkayastha interviene sulle immagini stereotipate impresse sui francobolli e sulle banconote; video e performance sono per Sonia Khurana lo strumento di indagine del corpo, esaminato nella sua realtà fenomenologica. In mostra sono altresì presenti gruppi, quali Raqs Media Collective, che si ispirano al Maharabhata, e taxi_onomy, che, nel progetto Mumbay City Dictionary, propongono una tassonomia atta a riconoscere le diverse zone della metropoli: il taxi nero diventa la metafora dell’esplorazione del territorio.
tiziana conti
mostra visitata il 4 luglio 2006
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va per caso di moda cercare artisti con nomi inpronunciabili? E magari il meno riconoscibili possibile?
... non so mi sembra che il mondo dell'arte sia già saturo di questi tipi di lavori e ... sinceramente, di miglior qualità... forse è il caso di farsi un bagno nell'Arno! ops... scusate voi avete il Po... ma magari prendere l'auto e fate un giro in quel di Firenze non vi farebbe male... magari riuscite ad entrare agli uffizi... giusto per dare un ripasso veloce... che magari possa aiutarvi?
INDIAindiaINDIA e poi l'India non è stata altro che uno specchietto per le allodole!
sono rimasta profondamente DELUSA da questa mostra e dall'impianto concettuale che c'era dietro, la solita retorica anti occidente (anzi anti-US) che mi spaventa diventi fil rouge di una mostra che dal titolo doveva ispirare i colori e il calore di un grande sub-continente e cercare di descrivere un po' una cultura così distante dalla nostra
degno di nota solo il progetto sponsorizzato dal British Institute (Inglesi, appunto) secondo me