Il bianco, etereo e
trascendente, domina nelle opere di
Daniele D’Aquisto. L’artista tarantino interviene
sull’immacolatezza delle superfici con un’azione di stratificazione, creando
tono su tono intarsi di materia. Ne risulta una tridimensionalità velata, in
cui il fruitore entra in contatto con l’alterità raffigurata.
Gore, titolo della mostra, fa
riferimento al Golden Record, la registrazione inviata nello spazio nel ‘77
nell’ambito del programma
Voyager, con l’intento di comunicare all’“altro” l’esistenza dei
terrestri. Un’umanità ancora ingenua, come si evince dalle tracce che si possono
udire attraverso apposite cuffie poste innanzi alle sculture. Si tratta del
rock and roll
Johnny B. Good di Chuck Berry e della frase del celebre discorso di
Martin Luther King che risuona emblematica: “
I have a dream”
. L’artista riproduce i suoni, duplicandone
il tracciato nelle forme cilindriche plasmate nel legno. La struttura
risultante è una trasposizione ermeneutica della matrice.
La serie
Deserts utilizza la tecnica della
stratificazione con il plexiglas. I paesaggi raffigurati rievocano
nell’immaginario il suolo lunare, arido e apparentemente privo di vita. In
alcune realizzazioni la desertificazione è resa evidente dalle crepe della
superficie. In altre, dalla linea dell’orizzonte si evince un panorama analogo
a quello terrestre. Un’analisi che pone l’accento sull’attuale stato del
pianeta, imprigionato nel destino ineludibile in cui l’uomo l’ha gettato.
In
W. I., Gagarin
è
ritratto
l’omonimo astronauta
russo, un’immagine-icona delle
esplorazioni spaziali.
W.I., Yoda è invece un’interpretazione del celebre personaggio di
Star
Wars e incarna al
contempo l’essenza dell’alieno. La riflessione di D’Acquisto risulta essere così
estremamente attuale e indirettamente propone una considerazione sul recente bombardamento
della Luna da parte della Nasa, avvenuto il 9 ottobre scorso. Episodio che
infrange il trattato dell’Onu sullo spazio esterno e che avviene in un’era di
equilibri biologici violati.
XXL è invece il ciclo di grandi opere
che viene inaugurata da Gas con il duo
Daniel Glaser +
Magdalena Kunz e con Jelena Vasiljev.
Dal connubio fra i
primi due prendono vita umanoidi il cui corpo è ideato attraverso fusioni in
alluminio, mentre il volto è frutto di un ricercato elaborato multimediale, che
appare come una pelle virtuale.
Jonathan è un individuo completamente ingessato, su una
sedia a rotelle, che dialoga al telefono per la trattativa delle opere. In
Performance,
le fattezze umane si schiudono
invece dal corpo dei primati.
Jelena Vasiljev ripropone la sua poetica dei
lupi, evolvendosi rispetto all’
Homo homini lupus. In
Essendo così lupi – like
this gli animali
sono ritratti negli atti della vita quotidiana: il riposo, l’inchino del gioco,
la sottomissione. Due specchi inclinati hanno la doppia funzione di habitat e
riflessione, tavolata distorta, del mondo umano. Nell’atto del guardare,
l’osservatore diviene così parte dell’opera.