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Fotografare (a) Torino |

di - 12 Gennaio 2006

Negli spazi al pianterreno dedicati alle mostre temporanee (ciò che più manca alla veneranda istituzione torinese, ci si augura per non troppo tempo ancora), fino a metà gennaio alla Gam è di scena Elisabetta Catalano, con una mostra e un corposo volume pubblicato per l’occasione. Proprio la prima fotografia riprodotta a catalogo svela in parte il suo successo. È una foto firmata da Tazio Secchiaroli sul set di 8 e mezzo: fra le attrici in pausa, gustosamente felliniane, sulle ginocchia del regista è seduta la fotografa. Con le braccia conserte, un sorriso appena accennato, osserva… Osserva qualcosa o qualcuno fuori campo, con un’intensità sospesa che è profondamente rivelatrice del suo sguardo, del suo lavoro. Sfogliando il libro, si trova un’altra foto che non è precisamente opera sua. È un ritratto di De Dominicis eseguito da Buby Durini; ma davanti al volto, l’artista tiene il ritratto realizzato da Elisabetta Catalano. Siamo ad un secondo dato fondamentale per chiunque intenda ritrarre, ossia riuscire a far dialogare il proprio soggetto con sé stesso. È ciò che pensava Paul Valéry, citato da Valerio Magrelli nel brevissimo quanto denso saggio d’apertura. Ed è ciò che fa Catalano quando, per esempio, ritrae Silvano Bussotti accanto all’album di ricordi di quest’ultimo. Veniamo allora ai ritratti, cominciando con una divina Stefania Sandrelli fotografata come mammà l’ha fatta, con la base dello scatto che lambisce il pube, le dita intrecciate a coprire il seno e qualche gioiello a spezzare la linearità delle forme. Fanno salire le lacrime agli occhi le fotografie di Pasolini e Laura Betti scattate all’Eur, ma c’è pure spazio per il sorriso, come quando Manzù osserva una sua scultura e pare imitare Alberto Sordi alla Biennale, oppure osservando un diligente Umberto Eco che si esercita al flauto. Ancora in tema di ritratti, che sono divenuti autentiche icone o lo diventeranno, vanno citati quelli di Boetti del 1973 e quello di Kounellis del 2004. L’amicizia con gli artisti si sostanzia anche in vere e proprie collaborazioni: oltre a quella con Fellini, c’è il decennale sodalizio con Fabio Mauri (divine le foto della performance Ebrea, 1971) o incontri più fugaci, per esempio con Gilbert & George in gran forma da Sperone nel 1972. Se poi ci si volesse soffermare sulle curiosità, ci si potrebbe trascorrere ore in compagnia di questo volume. Per esempio, perché l’unico libro di cui si riesce a leggere il titolo nel ritratto di Châtelet e consorte è una guida del Quebec? E cosa vorra dire l’accostamente di un A.B.O. sicumerico in panciotto, camicia rossa e cravatta gialla a fronte di un placido Argan casalingo?
La seconda mostra, che ha chiuso i battenti nel weekend epifanico, ha il respiro di un workshop. I sei fotografi sono infatti stati invitati, tra marzo 2004 e giugno 2005, a immortalare paradossalmente la transizione del tessuto urbano e architettonico torinese, in occasione delle Olimpiadi invernali ma non solo. Non staremo qui a ribadire le perplessità che hanno coinvolto il modus operandi di questo restyling, già analizzate su Exibart.onpaper n. 26. Perché il valore estetico di queste centinaia di scatti prescinde dall’intento che soggiace alla mostra e al libro pubblicato dalla Fondazione Torino Musei. Resta il fatto che molte fotografie testimoniano di certi errori e miopie. Le caratteristiche riprese dall’alto di Olivo Barbieri, per esempio, rendono evidente la mostruosità del parcheggio sotterraneo realizzato in piazzale Valdo Fusi o della “riconversione” del Palazzo a Vela. Ma in altri casi, lo stesso artista “chiude un occhio” tramite la sfocatura per obliterare cantieri tuttora aperti e in sommo ritardo sulle tabelle di marcia, come nel caso della Stazione di Porta Susa o del Parco Dora, in realtà ormai una colata di cemento, o ancora del parcheggio sotterraneo nella centralissima Piazza San Carlo. Ma non sono solo spine, ci son pure le rose: il Palazzo Lancia che svetta nella sua spianata di vetrate oppure l’Igloo fontana di Mario Merz sul passante. Gabrile Basilico si è occupato anche di aree più anonime, spesso senza citare i luoghi delle istantanee, ma dove si possono riconoscere le aree contigue alla Stazione Dora o certe inguardabili chiese costruite negli anni ’70, che meriterebbero -loro sì!- l’abbattimento. Tornando al colore, Franco Fontana si è concentrato su statue e monumenti, con scorci imprevedibili e cromìe mozzafiato, ma è pure riuscito a rendere chiaro l’intento della contestata Opera per Torino di Per Kirkeby, che riprende e astrae i portici che adornano molte parti del capoluogo piemontese. Si torna ancora al bianconero con Mimmo Jodice per apprezzare le romane Porte Palatine dietro puntute cancellate, la bistrattata Reggia di Venaria, l’inquietante ripresa dal basso all’interno dell’Armeria Reale, le rimpiante OGR, che sarebbero dovute diventare uno spazio espositivo che forse non avrebbe avuto nulla da invidiare alla Tate Modern. L’alternanza riporta al colore di Armin Linke, l’unico a spingersi in territori espunti dall’immaginario torinese come il quartiere delle Vallette (ma nessuno, pare, è giunto sino alla Falchera) e a fotografare proprio la Gam con uno scatto superbo. Si ripete infine il colore nell’indagine sociofotografica di Francesco Jodice, che ha ritratto le classi sempre più multietniche delle scuole torinesi. Insomma, almeno per i torinesi, un libro da avere assolutamente.

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marco enrico giacomelli


6 x Torino
fotografie di Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Franco Fontana, Mimmo Jodice, Armin Linke, Francesco Jodice
Catalogo con contributi di Giuseppe Culicchia, Marco Revelli, Paul Virilio, € 40
Elisabetta Catalano
a cura di Laura Cherubini
Catalogo con contributi della curatrice, di Valerio Magrelli e Costantino D’Orazio, € 45
(la mostra chiude il 15.I.2006)

GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea
Via Magenta 31 – 10128 Torino
Orario: 10-19 tutti i giorni, giovedì 10-23, chiuso lunedì
Ingresso € 7,50; ridotto € 4,00
Info: tel. +39 0114429518; fax +39 0114429550; gam@fondazionetorinomusei.it; www.gamtorino.it


[exibart]

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