Negli spazi al pianterreno dedicati alle mostre temporanee (ciò che più manca alla veneranda istituzione torinese, ci si augura per non troppo tempo ancora), fino a metà gennaio alla Gam è di scena Elisabetta Catalano, con una mostra e un corposo volume pubblicato per l’occasione. Proprio la prima fotografia riprodotta a catalogo svela in parte il suo successo. È una foto firmata da Tazio Secchiaroli sul set di 8 e mezzo: fra le attrici in pausa, gustosamente felliniane, sulle ginocchia del regista è seduta la fotografa. Con le braccia conserte, un sorriso appena accennato, osserva… Osserva qualcosa o qualcuno fuori campo, con un’intensità sospesa che è profondamente rivelatrice del suo sguardo, del suo lavoro. Sfogliando il libro, si trova un’altra foto che non è precisamente opera sua. È un ritratto di De Dominicis eseguito da Buby Durini; ma davanti al volto, l’artista tiene il ritratto realizzato da Elisabetta Catalano. Siamo ad un secondo dato fondamentale per chiunque intenda ritrarre, ossia riuscire a far dialogare il proprio soggetto con sé stesso. È ciò che pensava Paul Valéry, citato da Valerio Magrelli nel brevissimo quanto denso saggio d’apertura. Ed è ciò che fa Catalano quando, per esempio, ritrae Silvano Bussotti accanto all’album di ricordi di quest’ultimo. Veniamo allora ai ritratti, cominciando con una divina Stefania Sandrelli fotografata come mammà l’ha fatta, con la base dello scatto che lambisce il pube, le dita intrecciate a coprire il seno e qualche gioiello a spezzare la linearità delle forme. Fanno salire le lacrime agli occhi le fotografie di Pasolini e Laura Betti scattate all’Eur, ma c’è pure spazio per il sorriso, come quando
La seconda mostra, che ha chiuso i battenti nel weekend epifanico, ha il respiro di un workshop. I sei fotografi sono infatti stati invitati, tra marzo 2004 e giugno 2005, a immortalare paradossalmente la transizione del tessuto urbano e architettonico torinese, in occasione delle Olimpiadi invernali ma non solo. Non staremo qui a ribadire le perplessità che hanno coinvolto il modus operandi di questo restyling, già analizzate su Exibart.onpaper n. 26. Perché il valore estetico di queste centinaia di scatti prescinde dall’intento che soggiace alla mostra e al libro pubblicato dalla Fondazione Torino Musei. Resta il fatto che molte fotografie testimoniano di certi errori e miopie. Le caratteristiche riprese dall’alto di Olivo Barbieri, per esempio, rendono evidente la mostruosità del parcheggio sotterraneo realizzato in piazzale Valdo Fusi o della “riconversione” del Palazzo a Vela. Ma in altri casi, lo stesso artista “chiude un occhio” tramite la sfocatura per obliterare cantieri tuttora aperti e in sommo ritardo sulle tabelle di marcia, come nel caso della Stazione di Porta Susa o del Parco Dora, in realtà ormai una colata di cemento, o ancora del parcheggio sotterraneo nella centralissima
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