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Intervista a Fernando Botero

di - 13 Marzo 2000

Quante volte da bambini ci viene posta la domanda” Cosa farai da grande?”. C’è chi pensa al clcio, chi alla Formula Uno, chi all’arte. Quando e come Botero ha pensato che “da grande” poteva fare il pittore?
” Non so dire il perché dato che nessuno nella mia famiglia aveva mostrato inclinazioni artistiche, ho cominciato a dipingere paesaggi e nature morte ad acquerello verso i 13 o 14 anni e la mia vocazione è andata manifestandosi sempre con una forza sempre maggiore. La città non offriva molte possibilità culturali. Ciononostante vi era un gruppo di pittori locali, anche loro senza molte risorse, che si riuniva ogni sera in un caffè del centro a parlare di pittura. Io ho avuto molta fortuna di poter contare sulla loro amicizia, benché fossero più vecchi di me.”
Un uomo fortunato dunque che pur non essendo nato in mezzo ai musei ha sempre avuto una visione della pittura senza pregiudizi ed è riuscito a inventare l’arte senza che nessuno gliene avesse svelato i segreti.
” Quando avevo 18 anni ero già un pittore professionista, facevo solo i miei quadri e mi guadagnavo da vivere come illustratore di una pubblicazione culturale nel” El Colombiano”, il quotidiano locale. A 19 anni, nel 1951, ho realizzato la mia prima esposizione personale (one man show) a Bogotà, la capitale.”
Ma allora quale è stata la sua formazione artistica?
” All’inizio in Colombia si citavano soltanto pittori come Picasso, Cezanne, Braque, gli impressionisti. A casa di un mio amico d’infanzia ho visto appesi nello studio di suo padre la “Donna davanti allo specchio” di Picasso, “Nostalgia di infinito” di De Chirico e un Braque e un Gris. Opere che mi colpirono molto, ma il mio stile l’ho definito bene dopo il mio viaggio in Europa. A Firenze ho conosciuto l’arte antica, Masaccio, Giotto, Piero della Francesca e la lettura di Berenson razionalizzarono la mia tendenza, la mia convinzione dell’importanza del volume nella pittura.”
I soggetti “boteriani” ricordano sempre una certa atmosfera latinoamericana, sia nei personaggi che nei paesaggi. “Bisogna descrivere qualcosa di molto locale, di molto circoscritto, qualcosa che si conosce benissimo, per poter essere capiti da tutti. Io mi sono convinto che devo essere parrocchiale, nel senso di profondamente, religiosamente legato alla mia realtà, per poter essere universale”.
Di Botero si ammirano i dipinti, ma anche le sue bellissime sculture: che relazione c’è tra la sua pittura, scultura e i suoi disegni?
” I tre mezzi rispondono alle mie idee su ciò che deve essere l’arte. In pittura tutto è più leggero. Quando si dipinge, si costruisce e si distrugge rapidamente. Invece in scultura tutto è più lento. E a me piace questa flessibilità della pittura unita ad una certa irresponsabilità.”
Come nasce un quadro?
” Faccio dei piccoli bozzetti molto rapidi che costituiscono la base…Trasporto alcuni tratti sulla tela e da quel momento la creazione è l’atto di dipingere. Invento l’80% del quadro; il colore, il rapporto tra tema e sfondo, i volumi…Utilizzo una tecnica che richiede molte “mani” di colore. Molti mesi dopo ridipingo tutto, aggiustando tutti questi elementi. Direi che la prima tappa è emotiva e la seconda cerebrale.Quando ogni elemento del quadro trova il proprio posto, si raggiunge la pace. E in quel momento il quadro è finito.”
Molti strati di colore?
” Si, il colore è importantissimo.” In questo Botero risente dell’influenza di Piero della Francesca “Piero con il tratto prospettico descrive il volume. Poi aggiunge colori praticamente piatti e conserva l’idea del volume senza dover ricorrere all’ombra eccessiva che distrugge l’idea del colore locale; cioè il colore di ogni cosa. Io mi prendo tutte le libertà necessarie per raggiungere l’equilibrio delle mie composizioni. Il volume deve avere, nelle mie opere, sempre la sua massima espressione. E’ questo che mi ha collocato distante da tutte le tendenze contemporanee e di ciò sono contento.”
Qual è il segreto per crescere nell’arte?
” Confrontarsi. Una esposizione in un museo è una opportunità per confrontare un’opera con un’altra che è sempre la migliore lezione di pittura. Occorrono occhi freschi, liberi da ogni pregiudizi. Fortunatamente l’arte ha una grande dote, quella di essere inesauribile. E’ un processo senza fine, nel quale non si smette mai di imparare”.

[exibart]

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