Inaugura questa sera a Torino LabOratorio, la serie di conferenze organizzate dal gruppo torinese a.titolo, formato da (in rigoroso ordine alfabetico): Giorgina Bertolino, Francesca Comisso, Nicoletta Leonardi, Lisa Parola e Luisa Perlo. Con SITUAZIONI LabOratorio giunge quest’anno alla sua terza edizione, proponendosi ancora una volta come occasione d’incontro e di approfondimento su temi inerenti le arti visive contemporanee. Come ogni anno al ciclo d’incontri farà seguito la mostra Proposte, dedicata ai lavori di alcuni artisti piemontesi under 35. Abbiamo pensato di farci raccontare l’esperienza dalle stesse a.titolo.
C’è soluzione di continuità tra i temi affrontati nelle precedenti edizioni di LabOratorio e quella di quest’anno?
Il progetto è contestuale a Proposte, l’iniziativa che da anni l’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte dedica alla giovane ricerca artistica. Nostro obiettivo è far funzionare Proposte non solo come momento espositivo, ma come luogo d’incontro per le arti visive e la cultura contemporanee, valorizzando un rapporto più partecipato con il pubblico. Questa problematica è infatti oggi soggetto di molti progetti culturali europei. LabOratorio è pensato come struttura modulare reiterabile, un contenitore che, a ogni edizione, affronta un tema di particolare rilievo nelle produzioni artistiche contemporanee, osservato e interpretato da punti di vista diversi. Le tre edizioni sono state concepite come un unico organismo che funziona in fasi separate. L’ispirazione nasce dal romanzo di Georges Perec Vita: istruzioni per l’uso, dedicato alle vicende degli inquilini di un’abitazione parigina. Qui un’unica grande casa diviene laboratorio di storie e di esperienze. Il condominio è metafora della condizione esistenziale contemporanea e funziona come elemento per affrontare i confini tra casa e città – per esteso tra spazio privato/domestico e pubblico/urbano, individuo e società, singolo e comunità; le modalità delle relazioni tra le differenti specie di abitanti; la conservazione e l’accumulo della memoria, sia essa privata o storica e collettiva.
Come vivete l’esperienza di lavorare con artisti alle primissime armi?
Il confronto e lo scambio tra artisti, sopratutto di diverse generazioni, sono nel nostro paese piuttosto rari. Così ci siamo concentrate su una carenza, non per un titanico desiderio di colmare importanti lacune, ma perché crediamo nel confronto e nello scambio come momenti fondamentali di crescita, in particolare per artisti giovani come quelli di Proposte. Non ci interessa il talent scouting, quanto cercare di costruire situazioni che possano generarne altre in grado di svilupparsi autonomamente. Questo con LabOratorio si è verificato, ed è stata un’esperienza formativa anche per noi, fornendoci l’opportunità di intraprendere un rapporto continuativo e fecondo con molti degli artisti che vi hanno partecipato. Per alcuni riteniamo che LabOratorio sia stato un cruciale momento di svolta della loro carriera.
Quest’anno il vostro lavoro si articola intorno ai concetti di situazione e di esperienza. In che modo sono stati affrontati nel corso del workshop e nei lavori dei giovani artisti partecipanti?
Il workshop si sviluppa dal confronto tra le tematiche sollevate dal tutor e le riflessioni scaturite dai lavori degli artisti. In questa edizione, a cui abbiamo invitato Cesare Pietroiusti, molta importanza ha rivestito la riflessione sulla reificazione dell’esperienza, le strategie di narrazione e di risimbolizzazione in rapporto con la presenza dell’altro nell’opera e con l’esperienza soggettiva, anche attraverso l’analisi di numerose opere di altri artisti, dagli anni cinquanta ad oggi.
Chi sono gli artisti di quest’anno?
Giorgio Cugno, Andrea De Ferraris, Cristina Pellerino, Raffaella Spagna, Alberto Trapani, Unità Kabrila (Paolo Cirio e Antonio Cosoletto). Il criterio di scelta è stato suggerito, come nelle precedenti edizioni, dalla presenza nel loro lavoro di legami con il tema prescelto e dai possibili punti d’incontro con il lavoro del tutor (Pietroiusti). Il nostro desiderio di creare un gruppo, non esclude però la valutazione della maturità e delle potenzialità di ciascun artista.
Come avete scelto i relatori della serie d’incontri? con quale intento teorico?
Il ciclo di conferenze nasce con l’intenzione di aprire al pubblico la riflessione sviluppata nel workshop attraverso differenti prospettive disciplinari. La trasversalità dei linguaggi e delle pratiche rispecchia ormai da moltissimo tempo il modo in cui l’arte, uscendo da una prospettiva estetica formalista, si è misurata criticamente con la dimensione sociale, culturale e politica della vita. Soprattutto della vita quotidiana. Perciò ci pare indispensabile ribaltare il punto di vista, toccando i saperi con i quali l’arte più spesso si relaziona: dalla letteratura all’antropologia, all’urbanistica, alla sociologia, alla scienza. La scelta dei relatori mira a sollecitare il confronto, il dibattito e la riflessione. Così per questa edizione abbiamo invitato: Carlo Cresto-Dina, produttore cinematografico, l’antropologo e architetto Franco La Cecla, Cesare Pietroiusti e Nicolas Bourriaud, teorico dell’estetica relazionale e codirettore del centro d’arte Palais de Tokyo.
Ho l’impressione che il vostro lavoro faccia spesso riferimento al movimento situazionista e a quella concezione dell’arte, è così?
La riflessione su alcuni aspetti della teoria e della pratica situazionista in relazione alla pratica artistica contemporanea costituisce proprio il punto di partenza dell’esperienza di a.titolo. Il primo ciclo di mostre da noi curato, tra il 1997 e il 1998 all’Unione Culturale di Torino, si intitolava proprio Situazioni. Per questa iniziativa organizzammo nel 1998 una serie di incontri dedicati all’I.S., una rassegna di
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