Era la notte del 3 agosto 1944 quando l’esercito tedesco per contrastare l’avanzata degli alleati decise di far saltare tutti i ponti di Firenze, ad eccezione di Ponte Vecchio, spaccando in due la città e l’Arno divenne dunque un ostacolo invalicabile.
I ponti furono minati, la zona limitrofa evacuata e in tantissimi trovarono rifugio e ospitalità in Palazzo Pitti e nel giardino di Boboli che venne aperto per accogliere i profughi. Tra le persone che si trovarono ad aspettare, in trepida attesa, la fine del coprifuoco c’era anche lo storico dell’arte Roberto Longhi e la moglie, la scrittrice Anna Banti. Si è aperto infatti con la lettura di un suo brano lo spettacolo che si è tenuto nel giardino di Boboli, nel piazzale antistante la Meridiana, ieri sera. Nella concitazione di quei momenti la scrittrice che con Longhi risiedeva in Borgo San Jacopo perse il manoscritto in forma di racconto di Artemisia, quello che diventerà poi il suo capolavoro dedicato alla pittrice Artemisia Gentileschi: passata l’emergenza Anna Banti lo “riscrisse” nella forma in cui lo possiamo apprezzare oggi che si apre proprio con il racconto di quei momenti terribili passati nell’Oltrarno fiorentino.
La notte della memoria è stata un susseguirsi di testimonianze, ricordi, fotografie, audio, video e azioni teatrali affidate agli attori di Arca Azzurra.
Se le distruzioni del ’44 ferirono a morte il centro storico di Firenze, sicuramente l’emblema di questo massacro – che costò anche molte vite umane, feriti e dispersi – è dato da Ponte Santa Trinita, il gioiello del tardo Rinascimento, realizzato da Bartolomeo Ammannati su disegno di Michelangelo. Il ponte minato, come tutti gli altri, non cadde al primo colpo e i tedeschi furono costretti a intervenire ulteriormente per distruggerlo. Uno scempio assoluto che segnò profondamente i fiorentini: le tre esili arcate che congiungevano via Tornabuoni con l’Oltrarno non esistevano più! Concluso il conflitto bellico si pensò subito di ricostruirlo: così dopo 10 anni di studi e 3 di lavori Firenze riebbe il suo ponte! A conclusione della serata a Boboli è stato, infatti, presentato il poco noto documentario Dov’era e com’era, girato alla metà degli anni Cinquanta, da Riccardo Melani e Bernardo Seeber, con il commento dell’architetto Riccardo Gizdulich, artefice della ricostruzione. Il ponte fu inaugurato nel 1958 ed era stato ricostruito esattamente come l’originale. Per recuperare la “pietra forte” fu addirittura riaperta la cava in Boboli dalla quale nel Cinquecento avevano attinto le maestranze dell’epoca, i blocchi furono squadrati da abili scalpellini che, sotto il costante e sapiente indirizzo di Gizdulich e dei suoi collaboratori, ripercorsero per filo e per segno le tappe che aveva fatto Ammannati trovando però non pochi ostacoli. Infatti la tipologia di arcata utilizzata comportò notevoli studi, prove e simulazioni, ma poi fu stato trovato il modo per riprodurla. Le statue delle quattro stagioni poste sulla spalletta alle due estremità del ponte furono recuperate, più o meno integre, dal fiume subito dopo la distruzione del ponte. La statua della Primavera rimase però acefala, la testa fu ritrovata da un pescatore in Arno nel 1961 e ricollocata. Già dalla fine della guerra si era aperta la caccia alla ricerca della testa e la Parker, la nota azienda di penne, aveva incoraggiato la ricerca e messo una “taglia” di tremila dollari per chi l’avesse ritrovata. Alla Biblioteca degli Uffizi è pervenuto in questi giorni grazie a Roberto Fantacci, allora rappresentante in Italia della Parker, un prezioso dossier che raccoglie foto e articoli che ripercorrono l’annosa vicenda del ritrovamento della testa di Primavera.
La ricostruzione di Ponte Santa Trinita e il riposizionamento delle sue statue ha significato per la città l’inizio di un “nuovo Rinascimento”: un risarcimento per la storia di Firenze anche se rimane sempre aperta la ferita per il massacro di vite umane.
Enrica Ravenni