Appare all’improvviso. E poi scompare. Nascosta da una macchia di vegetazione e dall’andamento curvilineo del sentiero, la nuova installazione di Daniel Buren a Celle gioca con lo sguardo del visitatore. Una radura si apre tra le foglie e lì sembrano stare in piedi isolati dolmen dai colori brillanti. Ma non è solo questo. Una grande architettura a cielo aperto perde consistenza perché ricoperta da pareti di specchi, che riflettono l’ambiente circostante e annullano la fisicità delle pareti. Avvicinandosi e penetrando l’edificio si intuisce la complessità dell’opera. La Cabane éclatée aux 4 Salles (m. 8,78 x 8,78 per 4 di altezza) è suddivisa in quattro ambienti cubici. In ciascuna stanza, due muri brillano di tinte elettriche ed altri due sono rivestiti di specchi. Porte rettangolari mettono in comunicazione gli spazi e da ogni sala lo sguardo riesce a vedere ritagli di tutte le altre, attraverso un intricato meccanismo di riflessi. In corrispondenza dei varchi che si affacciano sull’esterno, otto elementi colorati verticali delle stesse forme e dimensioni delle aperture stanno a guardare. Quasi come se fossero le porte stesse, saltate fuori dai perni per assaggiare l’aria di fuori. Chi si avventura dentro la cabina non ha una percezione del tutto chiara della struttura: si confonde tra i rimandi di colori in tripudio, il verde degli alberi e dell’erba che entrano nelle sale attraverso gli specchi, la propria immagine moltiplicata e in movimento. L’opera non sembra mai uguale a sé stessa. Ingloba e mescola le visioni del parco alle tinte forti, firma inconfondibile di Buren. Solo alzando gli occhi si vede la pianta dell’edificio, riflesso in un piccolo specchio circolare che sovrasta l’opera, sciogliendo l’enigma.
La Cabane éclatée aux 4 Salles adotta un linguaggio assolutamente contemporaneo, eppure si pone in linea con elementi tipici del parco di scultura storico. Come il castello dal pavimento inclinato di Bomarzo oppure come i labirinti di verzura, la cabina sradica ogni certezza percettiva e fa perdere al visitatore la possibilità di orientarsi nello spazio. Apparenza e realtà non hanno confini. Sin dall’inizio, sin dal momento in cui, percorrendo la strada sterrata che si snoda nel parco all’inglese intorno alla Fattoria di Celle, si intravede l’opera di Buren. Che si camuffa sotto un cappuccio di riflessi. L’artista sfrutta e valorizza una delle caratteristiche più evidenti del giardino, progettato da Giovanni Gambini nel 1844-45: l’ambiente apparentemente naturale regala aperture tra la vegetazione, che svelano panorami classici, alla Claude Lorrain. E proprio in uno di essi si inserisce la cabina. Come una sorpresa dall’involucro discreto e dall’interno esplosivo.
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silvia bottinelli
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uah! veramente innovativo! affronta tematiche veramente inedite per la storia dell'arte! eccezionale...
Questa meravigliosa opera policroma, evanescente e immateriale di Daniel Buren, collocata sapientemente nel Parco della collezione Gori di Pistoia è scandita dal divenire dell'antico rapporto tra natura/cultura, che investe la complessità della percezione visiva e le diverse valutazioni tra architettura e paesaggio vegetale. Un'opera aperta che esalta le infinite e mutabili forme della natura, una fusione originale di architettura e vegetazione,intesa dall'artista come un nuovo modello culturale per l'uomo contemporaneo che ha perso quel senso di mistero che è celato nella vegetazione. (savino marseglia, curatore di Palazzo Datini)
ringrazio per le romantiche parole che riecheggiano le teorie settecentesche del burke e di holderlin ma i miei dubbi permangono ed anzi ne sono confermati.
possibile che nessuno di sittanti eruditi ammiratori abbia mai conosciuto, o almeno sia mai incappato, nei lavori che Long e Serra hanno realizzato a cavallo degli anni '60 e '70?
questo buren è un pò come un de chirico degli anni '50: postumo e posticcio!
(scusate l'asprezza verbale ma siamo arrivati ai fischi per fiaschi!)
E' tutta una questione di sfumature.
Long e Serra partivano da presupposti diversi, maturati in tempi diversi. E i risultati formali che hanno raggiunto non hanno nulla in comune con Buren. Che ci siano delle assonanze concettuali è inevitabile: l'ambiente del giardino di Celle, in sé, detta le linee di pensiero degli artisti.