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La galleria Il Ponte di Firenze celebra Hidetoshi Nagasawa, a un anno dalla scomparsa, raccogliendo le opere degli anni ’70: il decennio che più ha caratterizzato il suo apprendistato artistico. Nato in Manciuria e stabilitosi in Giappone, giunge in bicicletta fino a Milano – città che gli permetterà di partecipare ad importanti rassegne d’arte ed esporre permanentemente nei musei di Tokyo, New York e Roma.
Tra natura e artificio, antico e moderno, oriente e occidente: il continuo ponte che Nagasawa stabilisce senza che il dominio dell’uno possa soggiogare l’altro. Nello stesso modo, tra l’invisibile e il visibile materico: in Pulverize-Cloth Bucket l’oggetto rappresentato in un disegno non è che la copia imperfetta di un originale perfetto bruciato e posto in un barattolo. È questa l’opera del ’69 che annuncia la decade dei ’70 particolarmente feconda. A questa dialettica partecipa Oro di Ofir: è un gesto antico, semplice, come guidato da un canto di un dio, luminoso: «Ho toccato l’oro con le mie mani ed è nato Oro di Ofir» dice Nagasawa. La stretta demiurgica forgia una placca incorruttibile con le tracce delle sue mani, quello che non si vede, il suo raccolto mistero, l’intima difesa di una mano.
Il senso del rispetto – tanto tipico della filosofia e pedagogia zen – accarezza anche la carta, allorquando lo studio del materiale ingenera paura – come ogni cosa che si ami – tuttavia superata dallo studio, dall’osservazione. Così la carta viene tagliata, disegnata e intrecciata a guisa di materiale tessile. Facendole «assumere tanti differenti sapori restando se stesso» senza mai violarla ma dandole la più giusta dignità, elevandola a oggetto di riflessione.
Hidetoshi Nagasawa, Colonna, 1972, foto di Torquato Perissi
Già esposta alla XXXVI Biennale di Venezia, Colonna (1972), è il grande capolavoro che occupa un intera sala della galleria: 7 metri per 11 blocchi di marmo. Le curve sinuose riproducono il corso di un fiume capovolto (dice L. M. Venturi), la lucentezza del marmo autoriflettente, brilla come madido d’acqua; le armoniose volute sono smussate come le curve dei seni delle donne nelle antiche xilografie giapponesi. I blocchi di marmo di diversa provenienza sono scanditi da un intervallo di un centimetro in cui «si chiude la distanza dei loro viaggi e la loro storia» spiega Nagasawa.
È infatti il tema del viaggio, elemento indispensabile per il dialogo con l’artista, che ci spinge verso Viti di Bagdad, l’opera che ci accoglie all’arrivo della mostra. «In ogni posto cerco di trovare un rapporto, scoprire un legame» e così fa a Roma, verosimilmente, col baldacchino Barberini del Bernini. Al posto delle statuarie colonne tortili a cui si avviluppa il lauro, labili viti di Bagdad sulle quali poggia il delicato fasto di un bianco telo di seta. «Antiretorico» – rispetto al Bernini, lo definisce Bruno Corà, curatore del catalogo in mostra – in cui l’artista «si misura con ambienti en plein air» cosicché le due pietre, una sotto il baldacchino l’altra fuori, giocando con la luce, stiano in uno spazio di tensione.
Achille Falco
mostra visitata il 1 marzo
Dal 1 marzo al 10 maggio 2019
Hidetoshi Nagasawa, La scultura degli anni ’70
Galleria Il Ponte
Via di Mezzo, 42/b – 50121 Firenze
Orari: dal lunedì al venerdì 15.30 – 19.00. Sabato su appuntamento, chiuso i festivi
Info: (+39) 055 240617, info@galleriailponte.com