-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Berti, come gran parte dei pittori toscani della generazione degli anni venti nasce “rosariano” immerso nei paesaggi e nelle strade fiorentine. Soltanto dall’immediato dopoguerra l’artista troverà una propria autonoma strada: nel 1947 dalle ricerche e dal dibattito delle idee emersero due tendenze divergenti che si fronteggiarono fino agli anni settanta. Da una parte il “Realismo Socialista” promosso e sostenuto dal Partito Comunista e in Italia rappresentato dal pittore Renato Guttuso, che voleva l’Arte al servizio della lotta di classe e delle masse operaie. Dall’altra “l’astrattismo” scoperto da un gruppo di giovani artisti che nel 1947 pubblicano a Roma il manifesto “Forma 1” contro i conservatori e i cosiddetti realisti. Al manifesto aderisce anche Berti che solo tre anni più tardi, nel 1950, firmerà ( con Bruno Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi e Mario Nuti) il “Manifesto dell’Astrattismo Classico”.
L’esposizione si impegna a ripercorrere proprio questi anni e la scelta dell’artista di una pittura popolare e sociale che Togliatti e i quadri del partito di allora non capirono condannando Berti alla solitudine.
Non lo si deve prendere per un pittore politico: Berti fu essenzialmente un pittore di contestazione sociale, di realtà, politicamente orientato ma non perciò supinamente allineato.
Nel Manifesto dell’Astrattismo classico Berti definisce quell’arte ” Arte dell’uomo di cui è l’avvenire, di quell’uomo che non avrà più classi né ideologizzazioni mistificatorie. L’uomo contemporaneo ha la possibilità di essere un uomo dell’avvenire nel bene e nel male. La pittura che io faccio è in questa dimensione nei limiti o nelle qualità che possono sussistere. Se c’è un’estetica è particolare e va identificata in una particolare ideologia.”
Le “espansioni” dei primissimi anni Cinquanta segnano un sondaggio spaziale dell’impianto strutturale: la struttura si converte in segno e si fa duttile, riassumendo l’intensità di una carica espressiva. I dipinti sul tema” Cittadella ostile” ripropongono sbarramenti strutturali, ma intesi in tutta la loro precarietà di confronto temporale, e perciò matericamente sottolineati.(Cittadella ostile, 1955-56; Momento atomico, 1954).
Tuttavia l’immaginazione di Berti non cede a smarginamenti irrazionalistici, e lungo gli anni Sessanta va riacquistando certezze strutturali più nette, tentando figurazioni emblematiche di conflittualità utopiche nella condizione del tempo( Progetto utopia H 39 aprile novembre, 1963).
Il critico militante dell’astrattismo classico Ermanno Migliorini definisce l’arte di questi pittori a cinquant’anni di distanza coerente con le premesse originali, cioè devota alla natura della superficie, alle dimensioni del quadro, alla composizione asimmetrica, liberata nello spazio e dinamica. Nessuno di quei pittori e soprattutto Berti ha mai ceduto alle mode incalzanti dell’informale, al culto delle materie, all’influenza falso avanguardistica di Burri e Fontana, né alle tentazioni della Pop-Art.
Vinicio Berti, Centro d’Arte Spaziotempo, p.zza Peruzzi 15r, dall’ 11 marzo al 22 aprile. Dal lunedì al sabato 10-13; 16-20, chiuso la domenica. Info.055218678.
Si catalogo adito dalla Giunti Editore.
Cristiana Margiacchi
[exibart]