“Think global, act local”, recita uno dei motti della sostenibilità. Parti da una riflessione che tenga conto delle complesse dinamiche globali, elabora delle possibili soluzioni d’intervento ed applicale a livello locale. Si tratta di una formula che non vale solo per le scienze naturali e sociali. In Europa, Asia, Africa e Sud America, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, si contano numerosi gli artisti che si pongono il problema di innescare all’interno di luoghi specifici processi di trasformazione collettiva e creativa, spinti da convinzioni scaturite dall’analisi del sistema internazionale.
Non sembra più essere la nazione, ma il centro urbano ad offrire un punto di riferimento per la costruzione dell’identità del singolo e della collettività. Nonostante questo, le possibilità che le persone comuni hanno di incidere sul proprio ambiente e di decidere su di esso appaiono limitatissime. Può l’artista contribuire a sviluppare una coscienza creativa negli individui che compongono una comunità? La risposta a questa fondamentale domanda, degna di Beuys, non può che variare a seconda della capacità ricettiva delle persone coinvolte e delle caratteristiche dello spazio in cui si cerca di agire. La sfida vale comunque la pena di essere colta, data la posta in gioco: la possibilità di creare circostanze sociali e urbane nate dall’iniziativa di cittadini consapevoli.
Proprio con questo scopo si sviluppa il progetto Cities from below, che cerca di offrire le premesse necessarie per l’incontro e lo scambio tra gli artisti e la gente. A Pisa, nello stabilimento Teseco, nella zona industriale di Ospedaletto, hanno luogo dei workshop, ciascuno dedicato ad un settore amministrativo di una ipotetica città decisa dal basso. Sono gli Urban Tools, gli strumenti da usare per vivere la città in modo attivo.
Le fasce di pubblico chiamate in causa sono differenziate: Chto Delat?/ What is to be done, un collettivo di artisti di San Pietroburgo, ha lavorato con giovani creativi proponendo un’indagine su esempi di giustizia e dignità quotidiana, da utilizzare come punto di partenza per la realizzazione di opere d’arte di tipologie varie.
Oda Projesi, collettivo di tre artisti basato nel quartiere Galata di Istanbul, ha incontrato invece i bambini della scuola elementare di Sant’Ermete, dando loro l’input per l’esplorazione dello spazio della scuola e delle storie che nasconde. Nel marzo e nell’aprile del 2007 si svolgeranno altri due workshop, gestiti dal collettivo coreano di FlyingCity e da quello senegalese di Huit Facettes. I materiali prodotti in seguito o durante i laboratori trovano ospitalità nella Common House, un grande ambiente messo a disposizione dall’azienda Teseco che funziona come uno “spazio in formazione”, una sorta di “merzbau”. Qui è stata edificata una stanza senza tetto, dipinta all’esterno dall’intervento spontaneo di graffitisti e strutturata all’interno per mostrare i video, i testi, le fotografie, i giornali realizzati dai giovani artisti del laboratorio di Chto Delat. Qui Oda Projesi ha organizzato su una piattaforma in legno, resa accogliente da cuscini colarati, un picnic con i bambini per dare loro la possibilità di interegire fuori dall’ambito scolastico.
Sono piccole azioni. Tese ad acquisire un atteggiamento meno passivo riguardo ai luoghi. La città ideale della Common House va letta come una metonimia della più grande città reale. Che può e deve raccogliere i segni delle persone che la abitano.
silvia bottinelli
workshop seguiti il 13 novembre 2006
mostra visitata il 27 novembre 2006
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