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La grande Storia non è affar nostro, la grande Storia
si farĂ comunqueâ:
cosĂŹ commenta Haim Baharier, ebreo studioso di ermeneutica â a suo agio fra
Talmud, Kabbalah e Bibbia â nel video di presentazione alla prima mostra
personale di
Lena Liv (San Pietroburgo, 1952; vive a New York, Tel Aviv e Pietrasanta, Lucca)
in un museo italiano.
Il nucleo essenziale dellâartista russo-israeliana, la cui
origine di per sÊ è indicativa, riguarda proprio la memoria: con piÚ
precisione, e contrariamente al determinismo che la citazione dâinizio potrebbe
far supporre, attiene alla misteriosa persistenza di una carica umana oltre il
trascorrere degli eventi.
Alcuni esempi concreti. Unâumile lampada da soffitto,
vecchia di decenni, mantiene in sÊ il calore di chi la usò. Una fotografia
scattata chissà da chi e chissà quando è la traccia di un percorso esistenziale
che non potrĂ ripetersi identico.
In generale, ogni oggetto âvissutoâ può
operare come potenziale transfert di emozioni, per tramite di un processo che,
seppur con declinazione diversa, è ben noto (si pensi alle impressioni tra
sublime e malinconico suscitate dalle rovine dellâantichitĂ ).
Dunque, la scelta della Liv di riferirsi a frammenti
anonimi è il risultato di una precisa riflessione circa le dinamiche della
dimenticanza: per costruire la storia e derivarne un legame logico tra il prima
e lâora, normalmente destiniamo allâoblio ogni particolaritĂ , tutto quanto non
sâincastri nellâintenzionalitĂ degli scritti. In tale contesto, lâ
Hekhalòt ha un significato pertinente: il
palazzo divino della cultura ebraica, la cui ricchezza è fatta di luce e
riflessi, assurge a simbolo dellâincerto confine tra visibile e invisibile,
reale e inesistente.
Composta di circa 40 evocazioni, lâesposizione di Lena Liv
è un ânotturnoâ visivo ispirato dallâidea della sofferenza. Il punto dâinizio,
oppure solo quello piĂš evidente, è certamente lâolocausto, ma la conclusione
riguarda la condizione umana generale. Attraverso tecniche particolari â come
la riproduzione pittorica dâimmagini antiche, alternativamente affiancate da
materializzazioni in carta degli oggetti presenti nellâinquadratura stessa â si
consuma il tentativo, dolce e disperato insieme, di dare una nuova consistenza
alle memorie perdute.
Il nero dominante, a ricoprire senza distinzione aerei da
guerra o giochi dâinfanzia, e la successione dâindividui ormai privati
dellâidentitĂ , sono elementi che avanzano un interrogativo fondamentale: ovvero
se gli uomini sapranno mai rinunciare allâinutilitĂ del male. La sensibilitĂ
dellâartista nel modo di trattare gli oggetti e le loro ombre, se anche non
equivale a una risposta positiva, almeno legittima la speranza.