Affascinato da molteplici
materiali e svariate tecniche,
Ugo Nespolo (Mosso Santa Maria, Biella, 1941; vive a Torino)
espone al Bargello, museo che conosce a fondo. Sa infatti che questo scrigno
non contiene soltanto le eclatanti opere di
Donatello,
Michelangelo o
Cellini, ma anche collezioni di arti
applicate, dove si sublima l’oggetto d’uso comune.
Si celebra così, attraverso
l’opera di Nespolo, la capacità esecutiva e si “rieduca” il visitatore al
nuovamente apprezzato concetto filosofico di
bellezza e
speranza.Un po’ intimidito dal luogo, col
suo eclettismo Nespolo riesce perfettamente a dialogare con il
genius loci. Lo
spirito del luogo s’impernia nell’antologia dei suoi lavori, che spaziano dal
vetro soffiato, come in
Ora et Labora,
all’alabastro, dalla maiolica dipinta al bronzo e ai grandi acrilici su legno.
Quaranta opere in un
percorso espositivo vivido e fresco, di cui tre appositamente realizzate per
quest’esposizione.
Novantiqua 1,
Novantiqua 2 e
Novantiqua 3 giocano sul rimando,
sulla
citazione, sul punto di vista del visitatore che osserva i capolavori presenti
nel museo. Hanno forme diverse, tutte però dipinte con acrilico e realizzate
con incastri di legno sagomato e ritagliato. Tutte dedicate al Bargello.
Con sguardo diverso si
rivisita allora la sala di Donatello (
Novantiqua 1) col
San Giorgio dominante, il cortile
del palazzo con le splendide volte e le numerose statue
(Novantiqua 3) e la sala di
Michelangelo (
Novantiqua 2). Ma in esse c’è la presenza del pubblico,
dinamico e moderno nel segno, nelle tinte, nella gestualità. Spesso assorto, ma
anche attivo nel fotografare e intento a imprimersi nella mente e negli occhi
tutto questo splendore.
Un lavoro di rimandi
che non vive solo nell’immagine, ma anche nella tecnica e nella materia. Un
lavoro certosino d’incastri in legno, di cromatismo vitale, di fascinazione.
Come sempre, i colori primari risultano essenziali nella scansione dell’opera;
tuttavia qui compaiono
nuance di grigio, alternanti marroni, sfumature di
verde acqua, e soprattutto compare la foglia d’oro, che impreziosisce il
caleidoscopio di riferimenti al passato.
Con la
“
gustosa ironia”
che l’ha contraddistinto
sin dall’inizio della carriera, l’artista piemontese è da sempre affascinato
dalla sperimentazione e dal cambiamento. Significativa e singolare è l’opera
Al
pianterreno del Museo di Kensington del 1978.
Ormai tediato dall’Arte Povera,
decide di usare materiali rari e preziosi come argento, ebano e madreperla, e
crea una serie di martelletti la cui struttura portante è un ramo d’albero
frantumato in piccoli pezzi, ricoperto in argento e ricomposto a colonna
vertebrale dell’installazione.
La trasformazione
diviene l’anima della mostra, ponte e sinergia fra tesori del passato e
fruizione moderna del Bargello.