Marco Perego (Milano, 1979; vive a New York) sembra plasmare le proprie opere per elaborare un lutto. I feticci fantastici di un’infanzia tradita subiscono una catarsi attraverso le sale del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, dove Hermes bambino uccide la tartaruga o Herakles strozza i serpenti, nei giochi funebri in onore di Patroclo o nelle danze dei giovani ateniesi. Il rito supremo avviene nella sala del Vaso François (ceramica attica a figure nere del 570 a.C.), dove in
Everyone has two lives, in one you fake in the other you despair, la grande tela è tenebrosa come Aiace che trasporta il corpo di Achille nella decorazione del vaso, il fondo scuro e le sgocciolature violacee esaltano il dolore e il cordoglio. Molte altre tele sono coloratissime, cromìe acide, metalliche con colature materiche e resinose. Con glaciale iperrealismo, l’artista stempera l’astio, la sfida si fa logica e il quadro assurge ad archivio moderno di oggetti d’affezione, di passioni; si eleva a contestazione di uno sviluppo lineare della storia umana.
L’enorme distributore di chewing gum che campeggiava in piazza della Santissima Annunziata, davanti all’ingresso dell’Archeologico, il giorno dell’inaugurazione adesso è nel giardino del museo e, per quanto coloratissimo, non emana allegria ma melenso abbandono.
Le recenti opere di Perego trasudano colore e oggetti, spesso balocchi e personaggi di fiabe e fumetti. Richiami all’infanzia, ma un’infanzia negata e devastata, come devastata è la terra in cui ci ostiniamo a sopravvivere. Come legge del contrappasso si fronteggia un sapere antico “
delle interazioni umane che lasciano dietro di sé un sedimento di legame: un sedimento che si ispessisce nel tempo” (Bauman) e un presente definito nell’atto del consumo e nel ritmo sbalorditivo ed estenuante del cambiamento. Si tratti di giochi in frantumi o spesse gocciolature sanguigne, come in
Give Nothing Back, o nei più famosi portacicche (come li chiama l’artista),
cioè le installazioni
Bubble machine che distribuiscono teschi al posto di gomme americane, tutto evoca un percorso di “protesta” verso la mercificazione della vita.
Nella
paideia greca, il bambino differisce dall’adulto soltanto per l’incapacità di distinzione fra bene e male, ma in questo percorso contemporaneo appare ineluttabile che anche gli adulti siano regrediti al punto di perdere la strada. Solo l’operazione artistica dota “
le nuove icone o iconologie prodotte da Perego di una nuova aura, benché appartengano all’universo dei consumi né più né meno di un prodotto industriale”, spiega Sergio Risaliti.
Le opere offrono riferimenti essenziali per la lettura della mostra: il “sopra le righe” è immediatamente percepibile dall’ingresso attraverso tutte le altre sale del Museo. E “
questa specie di bassa, orizzontale sacralità è riconfermata a livello formale dalla pittura sontuosa e iperrealistica”, prosegue Risaliti. “
Qui la grande tradizione figurativa rinascimentale, quella della mimesi idealizzatrice, è messa in campo a servizio del banale, del kitsch, del popolare, dell’infantile”.
In
Devastated land, olio su tela di grandi dimensioni, la “fantasyland” è al completo: giocattoli rotti, bambole e orsacchiotti, cartoons e favole, il Cappellaio matto, biglie traslucide. Insomma, “
un’iconografia neo pop che invade le sale dell’Archeologico” (Caverni).