La complessa esposizione di Kendell Geers, satyr:icon, gioca con lâironia e la provocazione, mescolando terrore, piacere e attitudine teatrale. Due i fulcri del progetto: eros e morte, temi ancestrali per eccellenza. Ricordando Fellini, e lâomonimo capolavoro del â69.
Ouverture monumentale. Domina lâingresso un enorme poliedro in ferro e filo spinato dâacciaio, sorta di stella dalle innumerevoli punte, composta da un assemblaggio matematico di corpi piramidali. La fonte iconografica è un disegno di Leonardo inserito nel De divina proportione di Luca Pacioli: la rappresentazione di un solido platonico, espressione simbolica dellâarmonia e della perfezione geometrica. Qui tradotta nella fisicitĂ prepotente di un corpo tagliente e minaccioso.
Alle spalle, un neon a parete racchiude nel rosso cardiaco di una luce intermittente lâalternanza dinamica che regola lâesistenza: vita e morte si iscrivono lâuna nellâaltra, in un unico singulto generativo. Breath come Death, due concetti e una sola parola. La scritta, con un piccolo accorgimento tecnico âuna B che diventa D e una R che si spegne- trasforma il respiro nel suo opposto, la cessazione dâogni pulsazione vitale.
Cambio radicale dâatmosfera, entrando nel raffinato salottino borghese, mix tra design dâappartamento storico e dettagli contemporanei dâispirazione Seventies.
Sul piccolo mobile finemente decorato, troneggia un vaso con fiori posticci dal lungo stelo. Deliziose sculture di ceramica nera che spezzano lâarredo sobrio con una nota un poco kitsch. Ma a guardarlo piĂš da vicino, lâinsolito bouquet altro non è che un mazzo di falli eretti, riproduzioni fedeli di un organo genitale. Quello di Geers, per lâesattezza. Nella stanza impeccabile, regno del conformismo perbenista, si insinua il dettaglio trasgressivo, la nota stonata ma celata, lâaccento beffardo, intriso di aggressivitĂ erotica e ludica.
CosÏ, la carta da parati sembra una divertente decorazione optical, black & white: è in realtà di un gioco di lettering in cui la parola FUCK si ripete ossessivamente in file orizzontali speculari, come un pattern geometrico subliminale.
Appese al muro le fotografie di un party: gli invitati sorseggiano i loro cocktail da preziosi calici in cristallo, gli stessi che sono esposti come cimeli in una teca di plexiglas. La forma inusuale rivela, anche qui, lâimpertinente calco fallico dâautore.
Quindi, lâennesima citazione colta: la pila di scatolette su un tavolino allâangolo evoca manzoniane reliquie, ostentate nel salotto del collezionista. Residui dâartista, si; ma non di merda si tratta, e nulla câentra Piero Manzoni. Eâ lo sperma di Geers qui, a trasformarsi in organico feticcio, mimetizzato nellâinterno domestico puritano e chic.
E se dai palchi si affacciano discinte donne disegnate a china, stereotipi sexy in pose piĂš che esplicite, al centro della platea campeggia una grande videoproiezione, un lavoro di sampling visivo che cuce segmenti disarticolati. Immagini esplosive -come nella sequenza di parole su uno schermo disturbato (real, eros, terror, surrealismâŚ). Oppure lentissime, come nellâonda corporea che scorre in silenzio, orgia muta di pelle avviluppata in un unico blocco liquido, asessuato, armonico. Il commento? I dieci comandamenti scritti a lettere cubitali. Didascalie severe su una celebrazione del piacere erotico in senso lato.
Unâultima traccia in giardino, chiosa funerea e rigorosissima. Eâ la riproduzione fedele della tomba di Andreas Baader e Ulrike Meinhof, leader della RAF (gruppo terroristico nato in Germania nel â71). I due morirono suicidi in carcere, in circostanze poco chiare. Una fine violenta, dopo unâesistenza fuori da ogni regola, sempre sul bordo della morte.
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Kendell Geers al MACRO di Roma
helga marsala
mostra visitata il 25 giugno 2005
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