Dopo il successo di
Nonplusultra, ricognizione collettiva di sette giovani artisti, Gaia Pasi centra una lente d’ingrandimento su due percorsi individuali, giustapponendo la diversità degli artisti in una cornice su misura. Le opere non risultano inglobate organicamente, bensì, come calate in un gioco di specchi curatoriale, dialogano fra loro attestando la loro unicità; calcano lo spazio autonomamente, tracciando fili sottili di connessioni interne.
I lavori di
Alessandro Piangiamore (Enna, 1976) ruotano attorno all’idea di gravità e di processo, con un ricorso metodico all’ironia e al ribaltamento di prospettiva. La stasi di
Ma – I Tong Inmaycik, uno specchio inclinato su cui restano sospesi due magneti, fa da contrappunto all’ironia di
Pop corner, esposto specularmente all’angolo opposto della sala. Il calore di tre lampadine a colori primari è il motore della costruzione e della decomposizione di
Pop corner: se da un lato è il processo-chiave dell’opera facendo scoppiare i chicchi di grano, dall’altro fonde un vetro sovrastante alle lampadine che disperde il calore. La gravità è invece una finzione smascherata: il magnete di
Ma – I Tong Inmaycik è in equilibrio solo grazie a un suo omologo posto dal lato opposto del vetro. In
Anche se sottosopra è sempre una questione di gravità traspare ancor più chiaramente la radice concettuale dei lavori di Piangiamore: basta capovolgere una fotografia di un tuffo nel mare per ribaltare nello spettatore il senso del possesso sulla realtà e nell’immagine l’ordine convenzionale della natura. Ma è l’azione dell’artista che annulla il potere delle cose per ritrovare la capacità demiurgica di sovvertire le leggi della fisica o di utilizzarle per produrre un senso nuovo.
La ricerca di
Marco Mazzi (Firenze, 1980) è ispirata a un personale cinema di poesia, al confine fra film e video.
Written in the rain è un ritratto per appunti di un viaggio in Giappone (prossima meta dell’artista, che esporrà al Watari UM Museum di Tokio all’inizio del 2008), girato in Super8 con montaggio in macchina. Senza indugiare in forme documentaristiche, Mazzi elabora un immaginario poetico centrato su una visione estemporanea, occasionale, quasi un diario dell’occhio viaggiante. Da un impalpabile sfondo naturalistico deturpato da rottami industriali emergono volti, fiori, oggetti, treni metropolitani che l’artista trasporta nel suo universo lirico. Il mondo delle cose è trasfigurato da una messa a fuoco sempre in movimento, quasi una ricerca di resa incorporea o un regresso a una visione miope, dove però gli oggetti ritornano a una purezza primordiale. Ma è la costante attenzione al dato visivo dell’immagine filmica che folgora in Mazzi, l’incantata staticità della macchina e l’avvicinamento soffuso all’essenza della natura.
Come un’ossessione, nella sua opera riecheggia la forma del cerchio, monito alla purezza formale, richiamata anche in
Verso il mondo, un tombino rimosso e sostituito da una fotografia di nuvole viste dal cielo. La rimozione per Mazzi, dopo le prese d’aria di
Nonplusultra, diviene un automatismo di natura pittorica, come se disegnasse un cielo sotto un pavimento o incastonasse un fotogramma di un suo film nello spazio della galleria.
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Per la galleria un tentativo ingenuo di imitare le scelte identitarie dell'Enrico Fornello, ma non si può fingere una falsa identità a lungo...prima o poi la maschera cade!
Si prevedere un gran botto...a capodanno!!!
è proprio una grande idea questa del tombino..non l'aveva fatta ancora nessuno. che genialata!! ma possibile che si è così presuntuosi da non avere il tempo di guardarsi intorno per rendersi conto che alcuni lavori sono già vecchi?
e poi chissà al mazzi chi glil'ha data questa idea..qualche curatore (fallito artista) suo amico.
non dico che Mazzi non sia bravo, ma e' anche un ipocrita e un gran ladro... non mi meraviglia affatto che l'idea del tombino la possa aver rubata a qualcuno - artista o curatore che sia - chissa' dove e chissa' quando... tanto si sa, in Italia quando succedono questi fatti ci si volta dall'altra parte, come se nulla fosse... per non parlare del fatto che ormai l'artista bravo - per gente come VOI, fatta a immagine e somiglianza del vostro santo patrono Politi, e'solo chi lo tira in culo agli altri per primo, e non chi usa davvero il cervello!
La curatrice Gaia Pasi e' una strettissima collaboratrice di Exibart. Sarebbe piu' dignitoso che firmasse da sola le recensioni delle proprie mostre piuttosto che farle scrivere sotto dettatura da qualche amico visto che gia' le sue recensioni le scrive a volte sotto dettatura di qualcun'altro.