Si frantuma in una miriade di spunti e nella rottura dell’insieme il cortile di Palazzo Strozzi, dove campeggia l’installazione di
Yves Netzhammer (Schaffausen, 1970; vive a Zurigo). L’opera rende omaggio alla straordinaria architettura del cortile rinascimentale, creando una sorta di mondo parallelo e continui rimandi allo storico luogo che la ospita.
Un labirinto che invita a un processo di percezione totale attraverso una struttura ricca d’immagini computerizzate, silhouette di elementi vegetali e animali essenziali nella forma, ridondanti nella quantità e con atmosfere sonore di
Bernd Schurer.
La simbologia è ampollosa, i rimandi e le associazioni oniriche pure. Lo spettatore vi si trova immerso e quasi confuso. Il ricrearsi di forme, il rinvio costante fra il vedere e il comprendere, il numero esorbitante di stimoli rendono l’opera addirittura esagerata e spingono provocatoriamente la percezione al gusto del vuoto. Di quel cortile deserto, così sobrio e raffinato.
L’installazione in 3d segue le proporzioni dello spazio espositivo, quasi recintandolo in un set, dove le storie si susseguono e s’intrecciano in un racconto evocativo della complessità del mondo. La connessione fra oggetti ed esseri viventi è la chiave di lettura dell’opera; la rete di relazioni e la dipendenza degli uni dagli altri sta alla base della decodificazione del simbolico che ogni input propone.
Nel titolo,
Inventories of Abstraction, è insita l’operazione che l’artista dispiega; operazione attraverso la quale l’intelletto ricava concetti universali dalla conoscenza di oggetti individuali, prescindendo dal valore percettivo e ottico degli oggetti stessi. Ci troviamo di fronte a un “inventario” del simbolico, con metafore dovunque lo sguardo si soffermi.
La reverenza per lo spazio in cui l’artista svizzero – presente alla Biennale di Venezia 2007 nel padiglione nazionale – è stato invitato si è rivelato determinante per sparigliare l’integrità del luogo stesso, separando gli elementi che lo compongono. I colori sono quelli caldi del legno; il nero è dominante nelle forme animali, e non rare sono le incursioni di colore deciso e destabilizzante. L’installazione è sovraccarica di simboli, intessuta di sculture piccole e grandi.
Si entra nell’allegoria attraverso la silhouette spezzata, a mo’ di cancello, del corpo di un cervo. E cominciano le innumerevoli proposte visive: un susseguirsi di piccole scoperte nei sei video proiettati. Un laghetto azzurro formato da frammenti di specchi dove si abbeverano sagome di caprioli; gabbiette colorate rivestite da camicie appese a grucce, frecce e corna tutt’intorno. Per appropriarsi dell’idea museale dell’
insieme, un contenitore da entomologo racchiude lepidotteri, miriapodi e altri insetti, tutti incompleti, tutti attaccati alle minuscole pareti di un minuscolo labirinto.
Un repertorio vasto d’immagini, che ossessivamente attraggono lo spettatore. Finché questi vede riflesso negli specchi del laghetto lo splendido scorcio del Palazzo e del cielo. Allora sì che sogna.