Pizzi
Cannella e Rossella Fumasoni espongono insieme
in una doppia personale che spinge il visitatore a interrogarsi sul viaggio
come tema della scoperta del lontano, ma anche della quotidianità.
Figure
di tuffatrici si esibiscono su tele dalle più svariate tonalità di azzurro,
dalle quali affiorano lievi parole scritte con cura: mesi e giorni, date. Un
calendario,
Il calendario dei giorni sospesi. Farfalle esposte come parti di
una personalissima collezione hanno i nomi delle grandi personalità femminili
che hanno fatto la storia sociale e culturale della città di Roma.
Rossella
Fumasoni (Roma,
1964) non dice niente, ma lascia intendere tutto. Le sue opere dai colori
sgargianti parlano in silenzio, utilizzando un linguaggio quasi fastidiosamente
semplice, che riesce ad andare dritto al punto: cosa vuole comunicare? E allora
chi osserva è spinto a interrogarsi, a mettere in moto tutte le sue capacità
per capire ciò che forse ha già recepito ed elaborato: la poesia.
Scrittrice
e pittrice, Fumasoni fonde nelle sue opere queste due grandi arti comunicative
con un’eleganza e una levità senza pari. Emoziona in maniera semplice,
invitando a un viaggio nel proprio intimo per comprendere il dolore e il
piacere. “
Se non avesse fatto la pittrice, o la scrittrice, avrebbe fatto il
medico”, dice di
lei Roberto Gramiccia.
Il
viaggio prosegue nell’universo di cattedrali e mappe, isole e continenti
esotici di
Piero Pizzi Cannella (Rocca di Papa, Roma, 1955;
vive a Roma). Paesaggi in cui perdersi, perché troppo simili a qualcosa
di già visto e vissuto, salgono in superficie dalla trama delle tele grezze
appese alle pareti senza telaio. Nude e vere, fanno sfoggio di tutti i loro
difetti, fiere di ciò che tramandano. Come carte geografiche invecchiate dal
tempo, raccontano di viaggi in terre lontane, di voli d’uccello su città
sconosciute, di interni preziosi, di vasi e ventagli. Le opere di Pizzi
Cannella raccontano di antichi viaggi, di memorie appuntate in maniera fugace
per renderle in qualche modo incancellabili.
Ecco
che allora tutta la mostra appare per ciò che vuole essere: un taccuino di
viaggio su cui sono appuntati luoghi, sogni, oggetti che hanno definito una
storia, un momento, oppure tutta la vita. Il lavoro dell’artista, in questo
caso, è quello del viaggiatore d’altri tempi, che appuntava, riportava per poi
rielaborare e non dimenticare; perché ciò che si dimentica muore, oppure non è
mai esistito. Una grande potenza, trasmessa da ogni singolo tocco di colore, graffio,
spaccatura della materia, in alcuni punti ricca, in altri asciutta, tirata fino
a renderla volutamente inconsistente.
L’Oriente
come meta d’ogni viaggio, quindi, col suo fascino e le sue tradizioni.
L’Oriente malinconico, come unica meta possibile proprio per l’artista, alla
continua ricerca di un’espressività perfetta, che rimarrà perennemente
inappagata.