Non è un secolo facile per Firenze, il Settecento, diviso fra i Medici, che vedono il tramonto della loro dinastia, l’arrivo dei Lorena e, a fine secolo, gli echi della rivoluzione che porterà in Toscana i Bonaparte. Forse è per questa frammentazione politica, ma anche culturale, che mancava uno sguardo d’insieme su questo periodo, al quale ovvia con sobrietà e chiara impronta didattico-divulgativa la mostra degli Uffizi.
Se il secolo si apre nel solco di un attaccamento al Barocco e al suo gusto per gli oggetti preziosi, nei palazzi e nelle cappelle gentilizie si muovono però pittori e decoratori giovani e instancabili:
Matteo Bonechi,
Francesco Conti e
Camillo Sagrestani, capaci di aggiornare con maggior freschezza il loro repertorio verso temi profani. La continuità col passato, sostenuta da Cosimo III, s’interrompe con Ferdinando Medici, Gran Principe che, con la sua predilezione per la pittura veneziana di
Sebastiano Ricci,
per le tele del bolognese
Crespi e del lombardo
Magnasco, riesce a provocare un deciso rinnovamento, oltre che ad assicurare a Firenze una serie di capolavori dell’epoca.
Gli artisti forestieri invitati a Firenze furono capaci, con alcune opere magistrali come
Amore e Psiche, di orientare il gusto verso nuovi soggetti, come i concertini e le conversazioni alla moda veneta, e verso i dipinti di piccolo formato, da quadreria, ambiente che ormai non poteva mancare nelle case patrizie in un turbinio di stili: da toni luminosi e spumeggianti a quadri macchiati e oscuri, ai paesaggi e vedute graditi agli stranieri del
Grand tour, che a Firenze già abbondavano.
Dal punto di vista qualitativo e immaginativo, dalla mostra emerge con chiarezza il ruolo della scultura di piccolo formato, che indipendentemente dal materiale riesce a mostrarsi pienamente inserita nel gusto internazionale. I delicati busti, gli idilli graziosi e la leggiadria con cui vengono trattate le storie mitologiche mostrano una scuola di grandissima tecnica e di superbi risultati, a cui s’affianca dagli anni ‘40 la produzione delle porcellane di
Doccia, che accanto alle riproduzioni di opere classiche si appoggiava alla creatività degli artisti contemporanei, commerciando manufatti di grande raffinatezza, che ebbero un’ampia circolazione nell’Europa del tempo.
Questa scultura maturerà quasi naturalmente verso esiti neoclassici con
Carradori e
Spinazzi e con gli stucchi di
Albertolli, per giungere a fare da sfondo e cornice alla scultura classica in Pitti e agli Uffizi, nell’ambito di quella rivalutazione dell’antico e dell’archeologia che si affermano dopo la metà del secolo.
La panoramica si conclude con il rinnovamento della pittura in senso neoclassico, frutto – oltre che della fondazione dell’Accademia di Belle Arti – dell’opera di
Pompeo Batoni e dei residenti inglesi, autori di ritratti spregiudicati, e dopo il 1793, della colonia di rifugiati francesi in fuga da Roma, come
Louis Gauffier e
François Fabre. Che apriranno l’animo dei giovani artisti toscani,
Benvenuti e
Sabatelli, verso i tormenti dell’età romantica.