Forme dalla vitalità ammiccante, una essenzialità carnosa e morbida, contorni rubati a una elevata miopia, alla quale piace dissolvere nelle nebbie ogni fisico confine. Le geometrie pulite e spaziose della Galleria Bagnai sembrano il luogo elettivo per proporre le grandi suggestioni di
Marco Tirelli (Roma, 1956), che per l’occasione ha realizzato su tela e carta una trentina di opere. Tutte nel 2008 e tutte rigorosamente
Senza titolo.
Nella sala grande si fronteggiano e si sfidano una sequenza militare di ominidi, potenziali pedoni di una grande scacchiera e un antro circolare. La forma più semplice è quella più carica di umana vitalità; diventa materiale organico in grado di esprimere passione, promana quasi dalla superficie della tela. I contorni e gli angoli sfumati confondono e giocano con i nostri sensi altri, oltre la vista. I colori sono morbidi, un tenue sapore d’Africa si dipana lento dalle forme rettangolari. Oltre spogli infissi e pareti si scorgono antri dalla luce fioca e inquieta, un panico dolce ci propone di entrarvi. Le nebbie dell’esistenza sono gli inquilini che popolano gli ambienti proposti da Tirelli.
I carboni su carta, nella prima delle aree espositive, sembrano moltiplicare gli esiti creativi e soprattutto la capacità evocativa dell’artista: lave di petrolio? Rocche di filato nero? Sagome di austeri templi di civiltà perdute? O semplici particolari di una scala? Il mistero s’infittisce, una porta si apre sotto una pallida luce, porzioni regolari di materiali ignoti si susseguono in attesa di utilizzo. È Tirelli stesso a spiegare, in una recente intervista, il senso della sua ricerca: cercare nella forma, una volta ridotta all’essenza, le tracce e gli echi del mondo. Esaltare la sua potenza immaginifica.
Accanto, proprio nella sala esposta alla vista dei passanti, convive l’installazione presentata per
Outsider Project da Antonella Villanova. L’artista è
Enzo Cucchi (Morro d’Alba, Ancona, 1949; vive ad Ancona e Roma). Il tema è il rapporto fra arte e design. Ma il vento è mediterraneo, la luce è piena. Braccia lunghe e sottili, di una donna, ospitano rari preziosi. Oro giallo in soli sei esemplari che scolpiscono storie reali, o solo immaginate:
Mare che sei nostro,
Le case si riempiono a metà,
Giù la piazza nessuno. Di fronte, una ceramica nera, unico pezzo, una sorta di conchiglia dentro la schiuma del mare, volti imberbi che approdano sulle nostre coste. Solo una suggestione?
A completare l’installazione, i cilindri che contenevano i tre bracciali. E un tavolo che proviene direttamente dai mitici anni ’50. Scoppia la passione fra arte e design, un flirt lungo e pieno di avventure. Fontana Arte sceglie come direttore artistico prima
Giò Ponti e poi
Pietro Chiesa. Ma questo
Occasional Table è prodotto durante la direzione di
Max Ingrand: una grande lente d’ingrandimento che sembra poter scorrere sulla superficie per decifrare i segni antichi del tempo, o per dialogare con i riflessi dell’altro.
Essenziale ma di grande efficacia comunicativa questo evento, che nasce dalla collaborazione della galleria toscana con le romane Babuino Novecento e Roberto Giustini.