Un aviatore con spessi occhiali saluta il visitatore che entra in mostra e invita a un viaggio, in una città di grattacieli dalle forme purissime, lungo i profili del corpo femminile o i fianchi sinuosi delle montagne coperte di neve. La selezione, curata con dedizione e competenza da Fulvio e Napoleone Ferrari, rende conto delle molte vite che
Carlo Mollino (Torino, 1905-1973) seppe crearsi, come una sorta di labirinto dell’anima e dell’immaginazione.
Mollino inizia a occuparsi di fotografia quando ancora il suo valore era più documentario che artistico; per lui la fotografia è figlia di Mnemosine, dea del ricordo.
Alla fotografia affida la memoria delle linee razionali e delle atmosfere metafisiche che ha creato come architetto alla Società Ippica Torinese, malauguratamente distrutta nel 1960. Solo da questi scatti possiamo cercare gli elementi culturali del suo linguaggio, in bilico perfetto fra umanesimo – quello degli anni ’30, con inserti in bugnato su superfici razionalmente lisce e donne come colonne classiche – e snobismo mondano, negli inserti barocchi e nei toni surrealisti della
Fiaba per i grandi.
Mollino nega la serialità della fotografia e rende ogni scatto un pezzo unico: tagli, fogli, aerografo, chine e lapis sono gli strumenti. “Tutto è permesso” è la regola: nascono così immagini di architetture, di arredi e sportivi che, come un romanzo sapiente, mescolano realtà e immaginazione. Con la pubblicazione nel 1949 del suo
Il messaggio della camera oscura e dopo aver già ottenuto riconoscimenti su “Domus” e “Casabella”, Mollino abbandona ufficialmente la fotografia. Sarà professore, pilota acrobatico, designer di mobili oggi ricercatissimi e stimati dal mercato, ma nel privato fu infaticabile nel costruire un universo perfetto, una casa della perpetuità, popolata da un esercito di donne a interpretarne le mille declinazioni e fantasie. I loro corpi imperfetti vengono ridisegnati verso proporzioni impossibili, gli abiti e gli oggetti scelti con cura per fissare una fantasia, o un sogno.
Un gioco segreto, emerso in gran parte dopo la sua scomparsa, di cui non restano tracce documentarie che non siano queste bellezze tra pizzi e tulle, che si trasformano poi in donne disincantate nelle Polaroid degli ultimi anni e in cui l’autore rimane sempre inafferrabile, come in un continuo gioco di specchi.
Con le parole di Giovanni Arpino: “
Uno degli ultimi ‘creatori costruttori’ che Torino, città di frontiera, metropoli segreta, laboratorio continuo, ha messo al mondo in questo secolo. Accanito come solo sanno essere i veri studiosi, aristocratico come i veri solitari, maniacale devoto alle proprie liturgie”. Con “
una disposizione al nuovo che è segno decisivo per chi precede il tempo sonnacchioso altrui!”.