Visionario, quanto può esserlo un artista italiano –figurativo- della nostra era, e altrettanto realista; radicalmente siciliano; barocco, come vuole la critica; popolare per sua stessa ammissione: Fulvio Di Piazza racconta storie d’acqua e di terra, tessendo una metafora della contemporaneità con la minuziosità e il gusto iconico proprio della sua pittura.
Le miscele ittiche o fitomorfe che affollano le tele della sua ultima produzione riportano nel pieno di una sicilianità solare, colossale e controversa; un’atmosfera che in altri lavori, appena meno recenti, aveva lasciato lo spazio a cupezze un po’ millenariste apertamente legate alla drammaticità della cronaca internazionale.
L’eccellenza dell’artista, invece, risiede proprio nella densità narrativa delle sue storie, quasi quotidiane, quasi di casa nostra, ma venate di una follia tutta isolana, come i turbini di tonni, squali e pesci spada che spazzano la Conca d’oro (Tromba d’acqua, Vertigo), o gli orti botanici antropomorfi e itifallici (Cactaceo, Ficus).
Di Piazza rappresenta una realtà meticolosa in cui l’allucinazione (atmosferica, biologica, tecnologica) si svolge pianamente, come per l’errore di un demiurgo distratto, una svista inevitabile e già assorbita nella normalità. Accade così che, in Popolare, una Palermo serotina si trasformi nell’immenso bancone di un pescivendolo, con edifici guizzanti di pesci, cassette da pescatore affacciate sulla strada e lische protese nella sera per catturare il messaggio elettromagnetico di tg e telenovelas.
Il gioco barocco di Di Piazza (già paragonato a Arcimboldi e a Bosch, of course) si distingue nell’esatto bilanciamento degli estremi che attraversano la sua pittura: raffigurazione di passione e vitalità del popolo -come dice Sciaccaluga nel testo in catalogo- ed erudizione involontariamente snob, sincerità razionale nella descrizione e inclinazione per il grottesco e il surreale.
pietro gaglianò
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punk siculo !!ok!!