Un osservatorio è qualsiasi luogo da cui si possa vedere, assistere a quanto accade altrove. Un altrove che, nella mostra di
Paolo Parisi (Catania, 1965; vive a Firenze), assume connotazioni complesse e diversificate.
È un osservatorio la struttura realizzata con fogli di cartone sovrapposti, a creare un volume geometrico nel quale si schiudono, grazie a buchi praticati negli strati di cellulosa, aperture irregolari dalle forme tonde, quasi organiche. Come se fossero i varchi di un apparato respiratorio. Come un organismo vivente sviluppatosi per stratificazioni successive, da cui si può sì osservare l’esterno (cioè, tra l’altro, l’installazione permanente di
Sol LeWitt, rettangoli di colori diversi sulle pareti), ma anche calarsi in un
interno avvolgente, onirico, bizzarramente vivente. Come se l’altrove fosse, in questo caso, non tanto ciò che sta fuori, ma le possibilità di un interno vivo benché solitamente nascosto, inaccessibile.
Si ha l’impressione di essere in un osservatorio anche penetrando nell’altro ambiente in cui Parisi è intervenuto, coprendo le vetrate con lastre rosse fluorescenti e tracciando sulla parete di fronte alle stesse vetrate segni ideati a partire da mappe e tracciati cartografici. Lo spazio ne risulta profondamente modificato, immerso in un liquido amniotico rosso, fatto non di materia ma di luce. Sembra di poterci galleggiare dentro seguendo la geografia snaturata, non più indice razionale di uno spazio ma immagine decodificabile solo per empatia, delle tracce che luccicano sulla parete.
L’effetto di irrealtà aumenta se si guarda fuori: i colori sono distorti, l’immagine dell’esterno è come immobilizzata in campi di colori acidi, violenti. E, ancora una volta, Parisi propone un dialogo con le opere presenti nel museo. Stavolta si tratta di
Fountain on youth di
Albert Hien, dislocata nello spazio antistante le vetrate, che viene così inglobata nella visione, fino ad assumere l’aspetto di una stazione lunare. E così, ecco un altro altrove, un’altra geografia.
In un terzo ambiente sono esposte due grandi tele della serie
Coast to coast (2004). Lo strato di olio, rimasto pienamente visibile solo ai bordi dell’immagine, è nel resto delle tele coperto da un’inondazione di acrilico monocromo. Di nuovo, sulla base di informazioni di tipo geografico, il colore si distende in alcune zone per gonfiarsi in altre.
Materia in ebollizione costretta a rimanere entro la cornice creata dall’olio, che corrisponde al limite stesso della tela. Ed è il limite, come nelle altre opere in mostra, a creare un interno (o un esterno) che può essere osservato o da cui osservare.