La presentazione del restauro della
Madonna del Cardellino in Palazzo Medici, prima della ricollocazione agli Uffizi, permette di ripercorrere le vicende legate alla genesi dell’opera nel percorso di maturazione di
Raffaello (Urbino, 1483 – Roma, 1520) e di seguire le vicende e le problematiche di un restauro epocale. Questo sia per il prestigio dell’artista sia perché si tratta di un intervento su un’opera dalle vicende travagliate: la tavola era stata salvata dalle macerie dopo un crollo rovinoso del palazzo che la ospitava, ridotta in pezzi e restaurata quarant’anni dopo la sua esecuzione; passata tra le varie collezioni medicee, approdò agli Uffizi e subì nel corso dei secoli vari interventi di ridipintura e verniciatura, volti soprattutto a preservarne il godimento estetico.
Si parte dunque con un’introduzione tecnica che riassume i due anni d’indagini diagnostiche che hanno preceduto l’intervento sul dipinto. Analisi che hanno evidenziato gli strati di ridipintura, le parti più danneggiate del supporto ligneo, l’esistenza dell’originale verniciatura raffaellesca e l’entità delle integrazioni antiche. Pur sottolineando l’adesione al principio del minimo intervento, si comincia a capire che ci troveremo davanti a qualcosa di completamente nuovo. La restauratrice Patrizia Riitano, che ha dedicato dieci anni del suo lavoro a Raffaello – dice con ironia “
molto di più di quando ne abbia impiegato lui per dipingerlo” –
ha effettuato la rimozione delle vecchie vernici, parte delicata in quanto non reversibile, e successivamente le integrazioni pittoriche, con la tecnica della “selezione cromatica” particolarmente fine che distingue l’Opificio, che lasciano comunque ben riconoscibili gli interventi di restauro antico, ormai da considerarsi parte integrante dell’opera, così come qualche difetto della tavola ne evidenzia le sofferenze passate.
La visione ravvicinata e diretta permette di apprezzare la sicurezza di Raffaello nell’uso dei colori: rosso lacca, blu di lapislazzuli e verderame (per i dettagli del paesaggio sullo sfondo), stesi in maniera sapiente e sottile, tanto da lasciar intravedere a occhio nudo il disegno preparatorio. Il restauro ha inoltre rivelato una fine preparazione con polvere di vetro stesa sull’imprimitura per favorire una più rapida essiccazione del colore e il paesaggio di matrice leonardesca, dipinto all’impronta, senza uno schema sottostante, diversamente dalle figure.
I molti elementi leonardeschi del dipinto – paesaggio, capo appena velato della Madonna, composizione piramidale – segnano la prima maturità di Raffaello, che a Firenze aveva stretto amicizie (tra cui si evidenzia qui quella con
Ridolfo del Ghirlandaio, proposto come autore del restauro dell’opera nel 1547) e che cominciava già poco più che ventenne a diventare esemplare per le sue composizioni di semplice e raffinata bellezza.