In una Firenze ostile e distratta, Luca Crocicchi consuma una creatività clandestina che a partire da quegli anni ‘80 carichi di pittura, sembrano non lasciare alcuna libertà per altre possibili opzioni. A ciò si aggiunga che quello di Crocicchi è ancora un linguaggio fuori dagli schemi convenzionali e di moda, disposto com’è da una sincera volontà di riflettere la dimensione del privato.
E’ pittura certo, ma è tutta concentrata sulla volontà del racconto senza mai ricorrere ad artifici intellettualistici o concettuali. Il suo mondo poetico è fatto di un immaginario multiforme, vissuto da figure, paesaggi e bestie così aderenti al tratto più defilato e schivo del suo carattere, da renderlo difficilmente inquadrabile in un movimento specifico. La sua pittura si avvale di una figurazione libera ma
All’interno di un carattere prevalentemente sospeso e incantato, gli spazi acquistano una risonanza cromatica minimale in grado di rendere simboliche queste ambientazioni da sogno in cui il tutto seppure insolito fa parte di una totalità armonica.
Le opere esposte ad Arezzo appartengono alla sua ultima produzione (1996-2002), che rivendica ancora la necessità di avvalersi di una pittura figurativa dai toni surreali. Le stanze semivuote sono abitate da figure femminili presenti, concrete ma al tempo stesso distaccate e lontane. Non condividono con noi nessuna coordinata
Al fondo di queste immagini si intuisce un uso sapiente del disegno, un impianto chiaroscurale nitido e continui interventi a matita che preparano effetti pittorici mai contrastati o troppo espressivi.
Il risultato, pur richiamando Balthus, fa presagire piuttosto il motivo per cui la vivacità inesausta della prosa di Giovanni Testori – che subito ne apprezzò l’opera – potesse condividere con questa pittura il medesimo impulso verso l’insolito. Insolito che in Crocicchi è poi la manifestazione di questo forte impulso per un intimismo inesauribile quanto la volontà di dipingere.
matilde puleo
mostra vista il 3 maggio 2003
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