Sembrano allucinazioni i nove acrilici di Pierluigi Pusole (Torino, 1963) esposti nella prima sala della galleria Bagnai, dal medesimo soggetto replicato in serie con variazioni secondo un procedimento spesso usata dall’artista. Laghi di acqua nera circondati da boschi arruffati a da montagne rossastre su cui poggia un cielo ancora più rosso. E nel cielo, ogni volta diversa, una forma (o, in alcuni casi, due) dall’aspetto regolare, quasi geometrico non fosse per gli angoli stondati, secondo la cui forma si stende il colore sul cielo e che riflette sul paesaggio circostante la sua luminosità. Talvolta completamente bianca, talvolta colmata da un cuore nero, può sembrare in alcune tele uno schermo sospeso sopra questo scenario da apocalisse. Oppure, appoggiata sulla cima di una montagna, sembra riprodurne ribaltate e speculari le forme, trasportate in una dimensione altra. O ancora può far pensare a una sorta di monolito di kubrickiana memoria, incombente e ipnotico. Un’interferenza proveniente da chissà quale varco spazio-termporale che forse, reiterando all’infinito la serie, potrebbe risucchiare dentro di sé l’intera scena.
Nella sala successiva si trova lo scheletro della macchina di Paolo Grassino (Torino, 1967), trasformata improvvisamente da strumento quotidiano in incubo (forse la sua vera natura?), da cui emergono violentemente e aggressivamente, prima raccolti e poi separati in vari gruppi che si protendono nello spazio della sala, tubi di varie misure. Il tutto (la struttura sottostante è di resina e cartone) è ricoperto di gomma sintetica nera, che se da una parte dà un aspetto ancora più minaccioso all’opera, dall’altra la rende irreale, spettrale come un’apparizione. Qualcosa che si può eliminare voltandosi, oppure chiudendo gli occhi.
Atmosfera onirica, anche se meno aggressiva e più incantata, anche quella dei pannelli di Francesco Sena (Avellino, 1966; vive a Torino) posti nella stessa sala, che formano nelle intenzioni dei curatori quasi un’unica installazione. Accostate per contrasto, quanto l’opera di Grassino buca gli occhi dell’osservatore tanto quelle di Sena ne imprigionano lo sguardo, attirandolo nelle proprie profondità. Queste ultime sono infatti realizzate con la tecnica propria di Sena, che su supporti lignei definisce le forme con applicazioni di plastilina e poi, dopo coloriture rapide, le copre con due strati di cera. Il risultato sono immagini immobili e fiabesche in bianco e grigio, fluttuanti in un’atmosfera impalpabile e ovattata, in cui sotto cieli saturi di stelle un uomo assorto è presente a scene enigmatiche e pietrificate.
Come quella in cui, sopra un tappeto di rami d’albero raggelati, su un piedistallo una donna alata tiene tra le braccia un bambino. Come se tutto si fermasse un attimo e da lontananze sconosciute emergessero pensieri e sensazioni materializzati.
donata panizza
mostra visitata il 17 maggio 2007
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bellissima mostra. bravi
ciao grassino&sena,
auguri&saluti,
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