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26
novembre 2009
fino al 15.XII.2009 Youssef Nabil Firenze, Poggiali e Forconi
toscana
Icone moderne immortalate in un’estetica del passato. Il diario di un cammino interno ed esterno. Uno stile già maturo e definito. Sono le immagini di Youssef Nabil, giunte a Firenze...
Alla sua seconda esposizione
personale in Italia (la prima è stata ospitata a Villa Medici, a Roma, la
scorsa primavera), il fotografo egiziano Youssef Nabil (Il Cairo, 1972; vive a New York)
presenta oltre 35 lavori, dai primi anni ‘90 a oggi.
L’opera di grandi dimensioni Self-Portrait
with Botticelli (2009)
è stata
realizzata all’interno della Galleria degli Uffizi, appositamente per
quest’esposizione. Come ha dichiarato l’artista: “La ‘Primavera’ di
Botticelli è stata la prima opera che ho visto in vita mia, poiché ne avevo un
poster che la riproduceva appeso in camera. Ho sempre desiderato dormire di
fronte a quella originale”.
L’interesse del fotografo per le
immagini nasce sin dall’infanzia, grazie ai film egiziani. Ancora bambino,
scopre che alcuni dei suoi attori favoriti se ne sono già andati e questo fa sì
che nasca il desiderio di “immortalare” i protagonisti viventi che amava nel
panorama artistico del mondo arabo e occidentale. Questa passione per il cinema
diviene traccia costante nelle sue opere, stampe in bianco e nero alla gelatina
d’argento colorate a mano con l’acquerello, che richiamano l’estetica dei
vecchi film in technicolor e dei manifesti cinematografici.
Nabil comincia così la sua
carriera, “mettendo in scena” i suoi amici nelle vesti delle star
cinematografiche d’un tempo. La sua formazione prosegue prima al fianco di David
LaChapelle a New
York, in seguito a Parigi con Mario Testino.
Nei ritratti che realizza,
l’artista egiziano mitizza en avance i propri soggetti. Una mitopoiesi che avvolge di
nostalgia personaggi come Zaha Hadid, Mona Hatoum, Tracey Emin e Gilbert & George. Il glamour acquista così le
tonalità e il fascino di un malinconico presente già appartenente al passato.
Come ha sottolineato Pier Luigi
Tazzi, “questa ‘mise-en-distance’ è dovuta soprattutto a quelle sue
tinteggiature manuali e maniacali, che si rifanno a tecniche antiche e
decisamente obsolete. Come se il mondo a cui guarda, che continua ad
affascinarlo e che infine rappresenta, non fosse altro che il ricordo di un
mondo che è già stato e di cui lui, come artista, con la propria opera,
celebrasse l’inesorabile esser trascorso”.
Nella sua ricerca, Nabil non può
esulare dall’esperienza della vita e della morte. Tale senso di perdita è
d’altronde peculiare del mezzo fotografico, in quanto – per usare le parole di
Roland Barthes – ciò che vedo è “il reale allo stato passato: è il passato e
il reale insieme”.
Un reale alterato dall’atto creativo, che ratifica ciò che è stato.
Ciò emerge maggiormente negli autoritratti,
che Nabil ha iniziato a realizzare dopo aver lasciato l’Egitto. Qui il
paesaggio risponde sia alla riflessione sull’essere in loco dell’artista, sia,
tramite il colore, all’immaginario del luogo che già possiede: Parigi,
Hollywood, sale cinematografiche, camere d’albergo. Un essere cosmopolita e
apolide al contempo.
Nabil percepisce la propria vita
come una proiezione cinematografica, nella quale interviene per trasformare in
tracce consapevoli frammenti di un tempo irrecuperabile. Una narrazione che
risponde a una domanda di senso, celebrandone la stessa mancanza e limitandosi
a testimoniare la contingenza della sua presenza.
Queste immagini, proprio nel
dichiarare la consapevolezza della perdita che ci accompagna, resistono. A giorni di distanza dalla loro
visione, ritornano. Inebriano e interrogano.
personale in Italia (la prima è stata ospitata a Villa Medici, a Roma, la
scorsa primavera), il fotografo egiziano Youssef Nabil (Il Cairo, 1972; vive a New York)
presenta oltre 35 lavori, dai primi anni ‘90 a oggi.
L’opera di grandi dimensioni Self-Portrait
with Botticelli (2009)
è stata
realizzata all’interno della Galleria degli Uffizi, appositamente per
quest’esposizione. Come ha dichiarato l’artista: “La ‘Primavera’ di
Botticelli è stata la prima opera che ho visto in vita mia, poiché ne avevo un
poster che la riproduceva appeso in camera. Ho sempre desiderato dormire di
fronte a quella originale”.
L’interesse del fotografo per le
immagini nasce sin dall’infanzia, grazie ai film egiziani. Ancora bambino,
scopre che alcuni dei suoi attori favoriti se ne sono già andati e questo fa sì
che nasca il desiderio di “immortalare” i protagonisti viventi che amava nel
panorama artistico del mondo arabo e occidentale. Questa passione per il cinema
diviene traccia costante nelle sue opere, stampe in bianco e nero alla gelatina
d’argento colorate a mano con l’acquerello, che richiamano l’estetica dei
vecchi film in technicolor e dei manifesti cinematografici.
Nabil comincia così la sua
carriera, “mettendo in scena” i suoi amici nelle vesti delle star
cinematografiche d’un tempo. La sua formazione prosegue prima al fianco di David
LaChapelle a New
York, in seguito a Parigi con Mario Testino.
Nei ritratti che realizza,
l’artista egiziano mitizza en avance i propri soggetti. Una mitopoiesi che avvolge di
nostalgia personaggi come Zaha Hadid, Mona Hatoum, Tracey Emin e Gilbert & George. Il glamour acquista così le
tonalità e il fascino di un malinconico presente già appartenente al passato.
Come ha sottolineato Pier Luigi
Tazzi, “questa ‘mise-en-distance’ è dovuta soprattutto a quelle sue
tinteggiature manuali e maniacali, che si rifanno a tecniche antiche e
decisamente obsolete. Come se il mondo a cui guarda, che continua ad
affascinarlo e che infine rappresenta, non fosse altro che il ricordo di un
mondo che è già stato e di cui lui, come artista, con la propria opera,
celebrasse l’inesorabile esser trascorso”.
Nella sua ricerca, Nabil non può
esulare dall’esperienza della vita e della morte. Tale senso di perdita è
d’altronde peculiare del mezzo fotografico, in quanto – per usare le parole di
Roland Barthes – ciò che vedo è “il reale allo stato passato: è il passato e
il reale insieme”.
Un reale alterato dall’atto creativo, che ratifica ciò che è stato.
Ciò emerge maggiormente negli autoritratti,
che Nabil ha iniziato a realizzare dopo aver lasciato l’Egitto. Qui il
paesaggio risponde sia alla riflessione sull’essere in loco dell’artista, sia,
tramite il colore, all’immaginario del luogo che già possiede: Parigi,
Hollywood, sale cinematografiche, camere d’albergo. Un essere cosmopolita e
apolide al contempo.
Nabil percepisce la propria vita
come una proiezione cinematografica, nella quale interviene per trasformare in
tracce consapevoli frammenti di un tempo irrecuperabile. Una narrazione che
risponde a una domanda di senso, celebrandone la stessa mancanza e limitandosi
a testimoniare la contingenza della sua presenza.
Queste immagini, proprio nel
dichiarare la consapevolezza della perdita che ci accompagna, resistono. A giorni di distanza dalla loro
visione, ritornano. Inebriano e interrogano.
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2009
laura poluzzi
mostra visitata il 17 ottobre 2009
dal 17 ottobre al 15 dicembre
2009
Youssef Nabil
a cura di Pier Luigi Tazzi
Galleria Poggiali e
Forconi
Via della Scala, 35a – 50123 Firenze
Orario: da martedì a sabato ore 10.30-13 e 15.30-19
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel. +39 055287748; fax +39 0552729406; info@poggialieforconi.it; www.poggialieforconi.it
[exibart]