“
Sto molto bene con voi tutti. Ma… avete sentito
parlare delle tradizioni, di Aix, del pittore che si tagliò l’orecchio, di
cubi, di quadrati, di Parigi? Vitebsk, ti abbandono. Restate soli con le vostre
aringhe!”. Sono
le parole che
Marc Chagall (Vitebsk, 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 1985) o, meglio,
Moishe Segal pronunciò nei primi anni ‘20 quando, incantato dai paesaggi
mediterranei, diede inizio a una rivoluzione nel suo fare artistico, sia da un
punto di vista cromatico che luministico.
Le opere esposte a Pisa lasciano intuire l’intensa
relazione fra ciò che l’artista produceva e i viaggi intrapresi, non tanto
perché avesse la necessità di prendere spunto dalla realtà, quanto per la sua
capacità di percepire nella propria intimità la forza evocatrice delle
atmosfere che permeano un determinato luogo.
Lo dimostrano bene le guazze preparatorie delle incisioni
stampate all’interno dell’edizione Tériade della
Bibbia (1931), nelle quali la gamma
cromatica è derivata da quadri volutamente paesaggistici come
Gerusalemme
(il Muro del pianto),
eseguito durante un viaggio in Palestina.
Situazione che si percepisce anche
nella gouache su carta del 1927 intitolata
La Volpe e l’Uva, facente parte di una serie di
lavori preparatori per le incisioni delle
Fiabe di La Fontaine, pubblicate ancora
una volta dall’editore greco. In essa le vibrazioni luministiche derivano dalla
lucentezza dei paesaggi della Costa Azzura, in cui Chagall decise di
trasferirsi definitivamente nel 1950.
È in tale regione della Francia che l’artista adottò una
tavolozza dalle tonalità squillanti, unita comunque alla tradizione chassidica importata
dalla Bielorussia, che influenzava di
joie de vivre ogni tematica affrontata.
Fondamentale per continuare quest’arte, che Chagall stesso definiva “
mercurio
fiammeggiante”,
furono i viaggi in Grecia del ’52 e del ’54, determinanti per realizzare la
serie di litografie finalizzate a illustrare il racconto pastorale di Dafni e
Cloe, dove i colori vivi della terra ellenica furono usati per evidenziare i
tempi forti della narrazione, utilizzando spesso il blu per Dafni e il rosa per
Cloe.
Il legame forte che lega Chagall a questi luoghi,
soprattutto la Costa Azzurra, è rimarcato dal racconto di sua nipote Meret
Meyer – curatrice della mostra insieme a Claudia Beltramo Ceppi – la quale
descrive suo nonno intento ad accarezzare la terra usata per modellare,
affinché percepisse la potenza luministica che essa conteneva.
La mostra allestita a Palazzo Blu conferma il notevole
valore del periodo successivo a Vitebsk nell’elaborazione pittorica di Chagall,
che si fonde oltretutto con il tradizionale legame fra artisti russi e
Mediterraneo, come nel caso di
Lev Bakst o
Valentin Serov.