Localizzato il punto sul quale far leva -praticare una pittura strutturantesi come scrittura in atto-,
Matteo Fato (Pescara 1979) continua a guardare all’universo zoomorfo ipotizzando collisioni tra segno e soggetto. Coniatore in avanscoperta in uno spazio manuale puro, del tratto e dell’accidente, Fato si concentra sulle direttrici di forza riscontrabili in seno a organismi evoluti (citiamo a memoria dal suo repertorio recente: felini, cavalli, cani) nel tentativo di ottenere ogni volta un grafema complesso e autoriflessivo, un ideogramma plausibile sia come sigla che come resoconto performativo.
Calzanti e ricchi di fascino i riferimenti alla tradizione calligrafica dell’estremo oriente, cui vanno comunque anteposte istanze ormai “tradizionali” dell’arte contemporanea (da
Barnett Newman in poi) in materia di estetica “ontologica” del puro accadere e della semplice presenza. Nella fase esecutiva l’area a disposizione viene impegnata con un
fiat a china intricato e irrevocabile, in un’unica soluzione calcolata e concisa. Doverosa la scelta di operare per concentrazione di elementi: bastano il nero su bianco, la carta e un grande pennello-trasmettitore.
A Firenze sono in mostra insetti e aracnidi, forme di vita non meno sofisticate dei mammiferi. Quattro composizioni di fogli su cui, macroscopici, altrettanti animaletti a sei zampe si offrono come enunciati ideografici. Si direbbe un approdo: per nitore morfologico, colore e dimensioni, si tratta degli esseri viventi che più assomigliano ai segni grafici utilizzati dall’uomo per scrivere. Senonché, ed eccoci al punto, anche lo spazio di manovra dell’artista finisce per ridursi ai minimi termini: con la bilancia che pende tutta dalla parte del dato referenziale, gli esiti espressionistici prendono facilmente il sopravvento sulla vertigine da procedimento. Salta pressoché del tutto l’automatismo per cui, mentre la figura viene circoscritta in un diagramma, il duro segno prende a rilasciare la sua insospettabile polpa. Quello che sembrerebbe l’uovo di Colombo si rivela un’insidia: difficile, se non impossibile, decostruire ulteriormente asterischi in agguato, osare qualcos’altro che non sia un mero ingigantire spasimi di antenne.
Fin qui le cose che non quadrano. In positivo, l’impressione che si ricava da questa personale è quella di un cambio di passo, di un’accelerazione in direzione di tonalità magniloquenti e di un registro non più intimista: le piste di inchiostro non si erano ancora protratte così a lungo, né il loro tracciato era stato impresso altrettanto vigorosamente sul supporto. In proiezione, non è da escludere che questi insetti tutt’altro che imprescindibili possano costituire il viatico per nuovi e sorprendenti sviluppi. Una prova interlocutoria, dunque, che fortunatamente va letta più come un test negativo che come inutile esercizio di stile. Si attende la prossima mossa: l’artista è tra i più interessanti in circolazione e l’atmosfera da lavori in corso non può che ripagare della parziale delusione.
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In effetti pare una pre-personale, una prova generale per eventuali sviluppi, un esercizio forzato più legato all'abbozzo che alla pittura.
In quanto ai più prommettenti sarei molto più cauto, basti pensare a Roccasalva, Roma, ecc.