Sempre presente nelle collettive sugli anni ‘60, probabilmente
Paolo Scheggi (Firenze, 1940 – Roma, 1971) non ha ancora il ruolo di primo piano che meriterebbe tra le figure di quel decennio. Va a questa mostra il merito di riportare all’attenzione diversi pezzi, alcuni dei quali inediti, della produzione dell’artista fiorentino.
Una carriera brevissima che, seguendo il percorso espositivo, comincia con aggregati materici per arrivare alla cifra stilistica di Scheggi, quelle tele monocrome formate da tre strati sovrapposti, l’ultimo dei quali funge da limite, parzialmente visibile attraverso gli altri due, bucati da aperture sagomate che non corrispondono tra loro, pur ripetendo forme simili. Il primo strato funge da passaggio fra esterno e interno, mentre quello posto nel mezzo complica il rapporto fra gli altri due, creando un livello intermedio che rifrange lo sguardo, lo devia, crea zone variabili e non nette di luce e ombra. A partire dal 1966, le opere presentano una composizione più strettamente geometrica: nel livello più esterno si aprono circonferenze identiche, ordinate rigorosamente in file, mentre lo strato intermedio le taglia obliquamente secondo angolazioni scandite in modo altrettanto regolare.
Se lo sfondamento della tela fa inevitabilmente pensare a Fontana, qui però non c’è un oltre al di là della tela. Lo sguardo non esce da essa, dalla sua costruzione strutturata, netta, geometrica. Quasi optical. A differenza però anche della Op Art, Scheggi va oltre l’intervento sulla percezione dell’osservatore. O, meglio, intende combinarlo con quello sullo spazio: il movimento non è solo dal fuori, dallo spazio dell’osservatore verso e dentro la tela, ma è anche nella direzione opposta. L’opera mira a occupare lo spazio, a farsi ambiente. Come dimostrano due
Intersuperfici del ‘69, che replicano la struttura regolare delle tele successive al 1966 attraverso la ripetizione di un modulo, un cubo di alluminio. I cubi, affiancati in file a formare un quadrato, a partire dall’elemento centrale sporgono sempre più verso il
fuori, raggiungendo il massimo aggetto nei quattro cubi agli angoli. In una ricerca di spazio che si sarebbe indirizzata, secondo le parole di Lara Vinca Masini, “
verso un concetto di spazio sociale”. Gli ultimi anni dell’artista saranno infatti dedicati a una serie di azioni, eventi teatrali, performance, tutte documentate in catalogo.
Al piano inferiore della galleria Il Ponte sono esposte le carte -altre sono in mostra alla galleria Tornabuoni-, disegni realizzati con tecniche diverse che mostrano, seppur in maniera meno appariscente, come le opere di Scheggi tendano a uscire dal loro ambito per farsi esperienza. Frecce e circonferenze attivano il sostrato informe del disegno, creando situazioni e possibilità più che ambientazioni.