A volte la fotografia riesce a oltrepassare la sua funzione narrativa e di documentazione per abbracciare un ruolo più ampio, rivelare sentimenti e raccontare per frammenti storie vere e vissute. È quello che accade nell’esperimento intrapreso da
Gianni Caverni all’Istituto francese di Firenze: l’artista ha incontrato trenta cittadini francesi residenti in Toscana e ne ha fotografato in altrettanti scatti gli oggetti della memoria, veicoli di una nostalgia e di un legame indissolubile che ognuno mantiene con la propria terra d’origine.
Il progetto ambizioso di Caverni si è imbattuto in storie e personaggi diversi: studenti, medici, giovani baby sitter, ma anche i detenuti francesi del carcere di Sollicciano. Ognuno ha rivelato quanto ha di più caro. Per qualcuno il ricordo è attaccato alla pelle, si tratta di un tatuaggio fatto a Marsiglia ed è tutto ciò che si porta dietro. Altri, invece, vivono in case dove i soprammobili si affollano e diventano portatori di memoria.
L’oggetto rende visibile il ricordo, diventa epifania di un passato che non si vuole dimenticare e al quale si torna sovente con la mente. Vecchie foto di famiglia, borse in pelle, pentole, orsetti di pezza, anelli fotografati nella loro collocazione domestica consueta non vengono isolati da Caverni, che lascia intravedere, con un uso controllato dello sfocato, dettagli del corpo dei proprietari: piedi, mani, presenze legate agli oggetti in questione.
Tutto sembra sospeso nelle foto di Caverni. Il tempo della memoria diventa una percezione indefinita. Solo le frasi che sono state collocate accanto alle trenta foto riportano a un vissuto realmente presente: i protagonisti si raccontano e, attraverso piccoli aneddoti della loro vita, diventano per lo spettatore nuovi anonimi amici. Le loro esperienze di vita sono suggestioni che riconducono alla nostra realtà e fanno vivere nuove associazioni mentali.
La Francia è vicina e le vite spesso si somigliano anche tra Paesi diversi. Il tutto scorre lento, sulla musica cullante di una canzone in Francia molto popolare,
Douce France di Charles Trenet, alla quale Caverni si è ispirato idealmente. Le fotografie esposte costituiscono un tramite indissolubile fra la provenienza e il destino dei loro invisibili protagonisti e le storie così raccontate da Caverni rivivono attraverso i simboli di un passato mai dimenticato.
Caverni evoca la lontananza attraverso il contatto con le immagini e le figure della memoria. E sublima così la separazione, spesso dolorosamente vissuta, fra la terra d’origine e la patria adottiva.