02 settembre 2010

fino al 19.IX.2010 Ragnar Kjartansson Firenze, Ex3

 
Dalle memorie di un anacronistico romanticismo all'invadenza materna. Un islandese dall'aspetto buffo risolve ogni questione con l'arma che sente più potente: l'assurdo, naturalmente...

di

È un’intrigante e piacevole meccanismo ironico a far sì
che le opere di Ragnar Kjartansson (Reykjavik, 1976) procedano agilmente fra i temi opposti
della vita e della morte. Partendo da un codice noto – assimilabile allo sketch
cinematografico e televisivo, ma rispetto ad essi allungato nella durata, per
la ripetizione assurda di un medesimo atto – sono svelati alcuni dei nodi
celati dalla normalità: come se la distensione temporale si traducesse in
ingrandimento visivo e dunque lo sguardo, invitato a insistere, potesse
scrutare oltre la trama degli eventi.

In Me and My Mother la condizione apparente è la semplicità; ambiente
domestico comune, inquadratura fissa a due, madre e figlio fianco a fianco.
Ecco che di colpo la scena deflagra: la mamma, l’eclettica attrice islandese Gudrun
Asmundsdottir
,
prende a sputare con disprezzo e regolarità sul volto del remissivo Ragnar. Una
situazione che, al posto del noto complesso edipico, riafferma la primigenia
influenza della figura materna nello sviluppo individuale; e più in generale
suggerisce come ogni rapporto emotivo interpersonale sia sempre una congerie di
pulsioni contrastanti. Tutta questa saliva in faccia – materia di una
performance che si è ripetuta ogni cinque anni e che si ripeterà fino a quando
lo consentirà la salute degli attori – è una nemesi surreale in risposta a
qualsiasi capriccio o crudeltà filiale.

Mentre la componente performativa si ripete in Satan is
Real
– con
l’artista sepolto a metà nella terra per più di un’ora, variando infinitamente
un medesimo ritornello – il piglio dissacratorio trova sviluppo in Death and
the Children
,
breve e imprevista gita al cimitero, con la morte a guida di una scolaresca
elementare. Qui gli scambi di battute e le domande insistite dei bambini, per
la loro curiosità innocente, si dimostrano divertente antidoto alle pastoie
“metafisiche” (e appunto questa naturale irriverenza dell’infanzia è il punto
di contatto forte con il pensiero dell’artista).

The Hanging Pornographic Sea, serie pittorica raffigurante un
agitato mare notturno, e soprattutto Hot Shame – The Quest of Shelley’s
Heart
, immagini
ad acquerello del cuore del poeta inglese – secondo la leggenda, l’organo fu
recuperato intatto dalla cremazione funebre e poi conservato dalla sorella
scrittrice – sono insieme espressione di un’indole tardo-romantica. Il
romanticismo rappresenta per Kjartansson una riserva speciale in cui ritrovare
temi, motivi e argomenti da trattare alla luce della coscienza contemporanea,
il che si traduce, appunto, in stile canzonatorio.

Dotato di un carattere timido ma pieno di talenti, il
giovane islandese riesce ad affascinare d’acchito; lo scotto per tale
immediatezza è però il dubbio se tutti gli elementi proposti, eventualmente
sommati e sviluppati, non interessino più il medium filmico piuttosto che la
videoinstallazione. La simpatia beffarda, sebbene non sfrontata, genera la
suggestione di un moderno Keaton islandese.

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dal primo luglio al
19 settembre 2010

Ragnar Kjartansson –
Me and My Mother

a cura di Lorenzo Giusti e
Arabella Natalini

Ex3 – Centro per l’Arte
Contemporanea

Viale
Giannotti 81 – 50126 Firenze

Orario: da
mercoledì a domenica ore 14-22

Ingresso libero

Info: tel. +39
0550114971;
info@ex3.it; www.ex3.it

[exibart]

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